Dentro un vulcano fa davvero caldo, ma esattamente quanto ancora non si sa. Per ora. I ricercatori del Centro delle tecnologie per ambienti estremi dell’Università di Newcastle, però, stanno creando un congegno elettronico in carburo di silicio in grado di funzionare a temperature elevatissime come quelle interne al motore di un jet o, appunto, di un vulcano. Secondo quanto raccontato sulle pagine di The Engineer, il team per ora ha sviluppato tutti i componenti necessari e sta lavorando per integrarli in un dispositivo della grandezza di un iPhone.
Il carburo di silicio (o carborundum) è un materiale dalla durezza quasi di un diamante, ottenuto in laboratorio fondendo silicio e carbonio tra i 1.600 e i 2.500 gradi centigradi. Questo materiale ha una maggiore resistenza alle alte temperature rispetto ad altri materiali perché gli atomi al suo interno sono connessi da legami molto stretti, che richiedono grandi quantità di energia per rilasciare gli elettroni necessari per la conduzione elettrica.
E’ grazie a questo materiale che i ricercatori stanno creando il piccolo congegno in grado di raccogliere e trasmettere – in tempo reale – i dati dei vulcani. Misurando minimi cambiamenti dei livelli dei gas come l’anidride carbonica e l’anidride solforosa, i sensori wireless presenti sul dispositivo restituiranno in superficie informazioni sull’attività vulcanica e su eventuali improvvise eruzioni. “Ad oggi non abbiamo modo di monitorare la situazione all’interno dei un cratere attivo – ha spiegato Alton Horsfall, a capo del progetto sull’impiego del carburo di silicio – e la maggior parte dei dati disponibili riguarda la fase post-eruzione. Non è certo l’ideale, considerando i 500 milioni di persone che vivono all’ombra di un vulcano”.
Inoltre il carborundum ha un’alta tolleranza alla pressione e alle radiazioni, cosa che lo rende adatto anche ad usi nell’industria nucleare. Congegni di formato ridotto, in grado non solo di sopportare temperature estreme, ma anche di funzionare in modo affidabile, potrebbero essere utilizzati in centrali elettriche o nei motori degli aerei. “L’umanità sta crescendo e vive anche in ambienti ostili. Diventa necessario quindi esplorare nuove aree e trovare alternative fonti di energia. Ecco perché la ricerca nella ‘tecnologia estrema’ sta diventando sempre più importante”, ha concluso Nick Wright, coautore dello studio.
Riferimenti: University of Newcastle