In astronomia non è più un evento raro scoprire l’esistenza di altri pianeti extrasolari: attualmente, infatti, se ne contano più o meno una ventina. Ma l’ultima scoperta fatta dagli astronomi della San Francisco State University e dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysic di Cambridge (Usa) è stata senz’altro la più sorprendente. I ricercatori hanno infatti osservato un sistema di tre pianeti orbitare intorno ad Ypsilon Andromedae, una stella di tre miliardi di anni distante da noi 44 anni luce.
Ma a sorprendere gli astronomi americani sono state soprattutto le dimensioni dei tre corpi celesti: il più grande, e più esterno, ha una massa pari a quattro volte quella di Giove. Non solo: i tre pianeti orbitano intorno alla loro stella ad una distanza che non supera le 2,5 UA (una UA, ovvero Unità Astronomica, è pari alla distanza che separa la Terra dal Sole). Ma trovare pianeti così grandi vicino alla stella madre è piuttosto insolito. E rischia di ribaltare le teorie consolidate sulla formazione dei pianeti. Lo scenario tradizionale prevede, infatti, che pianeti giganti e gassosi, simili a Giove, si possano formare ad una distanza non inferiore alle quattro UA dalla stella madre. L’ultima osservazione degli astronomi, invece, contraddice in pieno questo scenario. Galileo ha chiesto l’opinione di Angioletta Coradini, dell’Istituto di Astrofisica Spaziale del Cnr.
Dunque quello che ruota intorno a Ypsilon Andromedae è un sistema anomalo?
“Diciamo che è “anomalo” secondo i tradizionali canoni scientifici. E la sua scoperta suggerisce la possibilità che ci siano altri modi di formazione dei pianeti, che però non escludono necessariamente quello tradizionale. Intanto c’è un effetto di selezione, tra pianeti grandi e pianeti piccoli, perché quelli realmente visibili, almeno per ora, sono soltanto quelli più grandi e gassosi che possono essersi formati in un modo compatibile con condizioni iniziali diverse. Dunque è importante considerare la massa iniziale della nebulosa protoplanetaria e il tipo di evoluzione che ha portato i pianeti più grandi ad avvicinarsi al corpo centrale. Insomma, l’osservazione di pianeti di tipo gioviano vicino alla stella madre non implica necessariamente ribaltare teorie di formazione finora accettate, perché queste non escludono altri modi di formazione”.
Ma quali condizioni iniziali avrebbero potuto determinare la formazione di pianeti così grandi?
“Probabilmente il disco protoplanetario aveva una quantità di massa tale da permettere la formazione di più pianeti di tipo gioviano, che però, perturbandosi a vicenda, potrebbero essersi autoeliminati. In questo caso, quelli sopravvissuti avrebbero cominciato a migrare verso la stella madre. Un processo che, nel caso specifico, avrebbe portato alla formazione dei pianeti osservati. Ma con questo meccanismo è difficile formare un pianeta come Giove, che ha un nucleo solido, su un’orbita quasi circolare, come quello più interno del sistema osservato. Se nel disco c’è poca massa, insomma, il processo evolutivo è probabilmente quello che abbiamo già ipotizzato per la formazione dei pianeti gioviani, e cioè non l’instabilità diretta nel gas, ma l’instabilità del gas sul nucleo solido”.
Quindi siamo di fronte a una fase ancora iniziale?
“Direi di sì. In generale i dischi sono per lo più simili, ma in essi differisce la percentuale di solido rispetto al gas. E poiché le situazioni iniziali possono essere tante e diverse, si cominciano a vedere dischi con pianeti o senza pianeti o con altre situazioni finali che a noi sembrano insolite”.