(Università degli Studi di Milano) – Le ricerche paleontologiche svolte a partire dagli inizi degli anni 2000 dal gruppo di specialisti guidato da Andrea Tintori dell’Università degli Studi di Milano sul Monte San Giorgio in collaborazione con Markus Felber, allora conservatore presso il Museo Cantonale di Storia naturale di Lugano, hanno condotto ad una serie di importanti scoperte che riguardano anche gli insetti e la loro evoluzione. In questo sito, tra i più importanti al mondo per i ritrovamenti di vertebrati marini del Triassico Medio (circa 240 milioni di anni fa), sono stati ritrovati 19 esemplari di insetti fossili. Tra questi, più di un terzo possiede un’eccezionale conservazione di organi e tessuti molli, condizione raramente presente nei fossili.
Due di questi esemplari sono stati oggetto di uno studio pubblicato oggi sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, che vede come senior author Matteo Montagna, entomologo evoluzionista presso il Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università degli Studi di Milano, e i colleghi Laura Strada della stessa università, Joachim e Carolin Haug della Ludwig Maximilian University di Monaco.
Gigamachilis triassicus, così è stata nominata dai ricercatori la nuova specie descritta, è stata riconosciuta appartenere a una famiglia attuale dell’ordine degli archeognati, insetti privi di ali e anche per questo considerati tra i più primitivi in assoluto. Il nome generico, Gigamachilis, deriva dalle eccezionali dimensioni di questa specie, circa 8 cm includendo il filum terminale, quasi quattro volte più lunga degli attuali archeognati, i cui parenti prossimi, i pesciolini d’argento, sono più noti al pubblico poiché li si può osservare talvolta nelle nostre case correre a nascondersi dietro i mobili appena accesa la luce.
G. triassicus, grazie all’eccezionale conservazione dei “tessuti molli” avvenuta attraverso il processo di fosfatizzazione, apre un’inattesa finestra sul cosiddetto “tempo profondo” che permette di osservare l’anatomia interna di un insetto vissuto circa 240 milioni di anni fa. Per la prima volta in un artropode terrestre fossile si possono osservare in dettaglio i muscoli presenti nelle zampe e soprattutto importanti componenti del sistema nervoso centrale, quali quattro coppie di gangli addominali e strutture presenti nei lobi ottici.
La forma e posizione di queste strutture è risultata identica a quella degli attuali archeognati, confermando la stasi evolutiva di queste strutture e apportando evidenze a supporto del modello secondo cui l’evoluzione procede a balzi: periodi “brevi” di intenso cambiamento seguiti da lunghi periodi di stabilità. È possibile che il balzo evolutivo che ha portato alla comparsa di questo insetto sia conseguenza della più importante crisi biologica, quella avvenuta circa 252 milioni di anni fa e che ci permette oggi di separare il Paleozoico dal Mesozoico. Gli insetti erano già presenti in gran numero e anche loro hanno subito gli effetti di questa crisi che ha portato alla scomparsa di diversi gruppi e successivamente alla comparsa di nuovi che andarono ad occupare le nicchie ecologiche lasciate libere dalle estinzioni.
Oltre alla conservazione eccezionale di organi e tessuti interni, il ritrovamento di G. triassicus ha un enorme impatto sulla conoscenza dell’evoluzione di questo gruppo di insetti poiché l’origine delle attuali famiglie viene retrodatata di oltre 100 milioni di anni, dal Cretacico Inferiore al Triassico Medio. I ricercatori italiani coinvolti nello studio, sfruttando anche gli altri esemplari rinvenuti sul Monte San Giorgio, sono ora al lavoro con colleghi della University of Sydney per ricalibrare le datazioni dell’origine dei maggiori gruppi di insetti e valutare l’impatto della crisi Permiano-Triassico sull’evoluzione di questo gruppo animale che oggi domina la vita sulla Terra.
Commenta Matteo Montagna: “Il Monte San Giorgio, divenuto patrimonio UNESCO per i suoi fossili di vertebrati marini, non finisce di stupire e meriterebbe ancora molta attenzione da parte del mondo scientifico e non solo. Questo studio dimostra infatti che anche dopo oltre 150 anni di ricerche, su questo sito è ancora possibile fare incredibili scoperte e che talvolta sono proprio i fossili più piccoli a dare i risultati più incredibili”.
Riferimenti: Central nervous system and muscular bundles preserved in a 240 million year old giant bristletail (Archaeognatha: Machilidae); Matteo Montagna, Joachim T. Haug, Laura Strada, Carolin Haug, Markus Felber & Andrea Tintori; Scientific Reports