“Nell’Italia meridionale piovono barili di petrolio: abbiamo una tale ricchezza di energia solare che su ogni metro quadro ogni anno piovono almeno 20 centimetri di petrolio sotto forma di Sole. Per poterla utilizzare questa grande ricchezza va trasformata attraverso il fotovoltaico e il solare termico”. Parola di Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica e presidente dell’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (Enea) che proprio in questi giorni ha presentato un piano strategico per lo sviluppo di impianti solari termoelettrici su vasta scala. Un progetto ambizioso che, come scrive Rubbia nella sua presentazione, si pone l’obiettivo di coprire con l’energia termoelettrica solare una porzione rilevante del fabbisogno del Paese entro il 2020.
L’idea è semplice e, per la verità, piuttosto antica visto che già Archimede la sfruttò per bruciare le vele delle navi romane che attaccavano Siracusa. Si tratta di generare calore concentrando la luce solare mediante specchi o lenti. Ma oggi, gli eredi degli antichi “specchi ustori” di Archimede riescono a concentrare la luce fino a cinquemila volte raggiungendo temperature attorno a 850 gradi centigradi. Il calore ottenuto viene poi convertito in elettricità con un convenzionale generatore termoelettrico. Il processo sfrutta soltanto in minima parte (o addirittura in alcuni casi per niente) i tradizionali combustibili fossili, a tutto vantaggio dell’ambiente. Inoltre, parte del calore può essere accumulato il calore in modo da compensare le fluttuazioni metereologiche.
Sono già stati stanziati 500 miliardi per la costruzione di un “laboratorio solare nazionale” in provincia di Latina (dove si condurrà la ricerca nel campo della tecnologia solare termoelettrica) e di un impianto dimostrativo che potrà produrre energia sufficiente per una comunità di 4-5 mila persone. In seguito si procederà alla costruzione di una prima centrale a specchi in Sicilia: sarà la più grande centrale solare termoelettrica d’Europa con una potenza di 100 megawatt. Anche alcune delle isole minori italiane verranno dotate di tecnologie in grado di sfruttare fonti rinnovabili, allo scopo di raggiungere l’autonomia energetica.
Le linee strategiche principali proposte dal piano Enea sono due: costruire numerosi impianti che dimostrino il miglioramento in qualità e funzionalità del sistema e soprattutto ridurre i costi per competere con le sorgenti energetiche tradizionali. Al momento l’energia termoelettrica solare è la forma più economica di sfruttamento del Sole per la produzione di elettricità (è più economica, per esempio, dei pannelli fotovoltaici). Ma i ricercatori si dicono fiduciosi di riuscire a ridurre ulteriormente i costi fino a 100 lire per kilowatt/ora.
Naturalmente questa tecnologia è ottimale in regioni a grande insolazione diretta come quelle del nostro Meridione. Qui, in condizione ottimali, si possono raccogliere annualmente circa 2000 kilowatt/ora per metro quadro, l’equivalente energetico di circa 1,5 barili di petrolio. Nel piano Enea vengono elencate una serie di zone non coltivate nel sud d’Italia dove la costruzione di impianti termico-solari sarebbe ottimale: per esempio le piane di Gela e di Catania in Sicilia, quella di Gioia Tauro in Calabria e quelle del Volturno e del Sele in Campania.
Il piano Enea prevede l’utilizzazione di tre tipi di concentratori di raggi solari: specchi parabolici lineari, torri solari e concentratori parabolici indipendenti. Gli specchi parabolici lineari focalizzano i raggi solari su un lungo tubo ricevente. Con questo tipo di concentratori si raggiungono temperature intorno ai 390 gradi centigradi e potenze fra 30 e 80 megawatt. Le torri solari sono invece dotate di un recettore montato sulla loro cima su cui viene riflessa la luce concentrata dai cosiddetti eliostati, ovvero un sistema di specchi che si muove inseguendo il moto del Sole. In questo caso la temperatura arriva intorno ai 565 gradi centigradi e la potenza va dai 100 ai 200 megawatt. I concentratori parabolici indipendenti, anch’essi in grado di seguire il moto del Sole, assorbono calore fino a ottenere ben 750 gradi centigradi.
Per superare la difficoltà delle fluttuazioni meteorologiche sono state studiate, e già largamente collaudate, due fondamentali strategie. La prima è quella di usare un sistema ibrido solare-fossile: durante lunghi periodi di assenza del calore solare si produce energia mediante i tradizionali combustibili fossili. In questo caso l’impatto ambientale rimane minimo e anche i costi risultano convenienti. La seconda soluzione consiste invece nell’immagazzinare parte del calore raccolto sfruttando un mezzo chimico per estralo poi quando è necessario.