Un raccolto di farmaci

Coltivare vaccini e farmaci biotecnologici. Per produrli con meno costi, e più sicurezza, rispetto a quanto accade ora. L’idea si fa sempre più strada nel mondo del biotech, e da poco è stata rilanciata anche da un congresso mondiale che ha visto riuniti a Verona, dal 18 al 20 giugno, oltre centocinquanta delegati da università, centri di ricerca a industria. Obiettivo: discutere delle prospettive del molecolar farming: l’utilizzo di piante, opportunamente modificate geneticamente, per produrre molecole di interesse farmaceutico, in particolare vaccini e anticorpi monoclonali.

La tecnologia standard per la produzione di questi farmaci (che devono essere prodotti da cellule opportunamente modificate) prevede oggi l’utilizzo di cellule ovariche di criceto. É a loro che si fanno produrre, grazie all’inserimento di opportuni geni, i farmaci biologici impiegati per la cura di malattie autoimmuni (come l’artrite reumatoide o la psoriasi) o di alcune forme di cancro. Come spiega Mario Pezzotti, docente di genetica agraria all’Università di Verona e organizzatore del congresso, utilizzare invece sistemi vegetali porterebbe molti vantaggi, in particolare costi molto minori e maggiore sicurezza. “Le piante, hanno bisogno di minore energia per vivere, dato che utilizzano il suolo, la luce solare e la fotosintesi. Inoltre consentono economie di scala impensabili nel caso delle cellule animali, allestendo serre più grandi di qualsiasi laboratorio. Infine non devono essere coltivate in un ambiente sterile, consentendo tra l’altro di estendere la fornitura di farmaci anche a quei paesi dove è impossibile mantenere la catena del freddo. In questo modo, i costi di produzione possono essere anche cento volte inferiori rispetto ai sistemi di produzione attuali”. Inoltre, e siamo al punto della sicurezza, le piante non sono attaccabili da batteri e altri organismi che infettano le specie animali.

Un esempio dei vantaggi offerti da questo sistema è proprio un progetto dell’Università di Verona. Che ha sviluppato una proteina, chiamata GAD 65, in grado di modulare l’attività delle cellule T e contrastare il diabete di tipo 1. Attualmente è nelle prime fasi di sperimentazione clinica, e in bambini diabetici con sintomi non ancora conclamati ha mostrato di riuscire a proteggere il paziente dalla progressione della malattia. “Bene, questa molecola viene prodotta da un gruppo svedese, utilizzando cellule animali, al costo di quasi un milione di euro all’anno” spiega Pezzotti. “Noi a Verona riusciamo a far scendere il costo della produzione in pianta a diecimila euro al grammo”.
E in futuro, aggiunge il ricercatore, modificando piante come il tabacco (la pianta “farmacia” per eccellenza, per la grande facilità con cui si può modificare geneticamente), sarà possibile produrre farmaci contro la Tbc, l’Hiv, le epatiti, o contro malattie autoimmuni.

Finora però, spiega Pezzotti, lo sviluppo del molecolar farming è stato ostacolato da due fattori principali: prima di tutto, lo scarso interesse delle case farmaceutiche. Che hanno investito somme enormi, per circa venticinque anni, nella tecnologia basata sulle cellule animali, e ora sono molto restie ad abbandonarla. “Ma ormai i sistemi di molecular farming hanno un grado di maturità quasi paragonabile. Ci si lavora da venti anni, quindi diciamo che sono solo cinque anni indietro rispetto ai sistemi animali. E anche alcune delle grandi case farmaceutiche iniziano a mostrare interesse”.

L’altro ostacolo è il quadro normativo sulle biotecnologie in campo agricolo. “L’attuale situazione europea ci impedisce di fare anche semplici prove sperimentali in campo aperto” spiega Pezzotti. “Comunque la si pensi sulle biotecnologie in campo agricolo, sarebbe importante differenziare dal punto di vista normativo l’utilizzo alimentare da quello farmaceutico, mentre al momento l’opinione pubblica e gran parte della politica sono egualmente ostili. Devo dire che in parte è stato fatto un errore da parte della comunità scientifica, con le prime proposte di edible vaccines, vaccini commestibili inseriti, per esempio, nelle patate. Inserirsi nella catena alimentare in effetti non è una buona idea, per molti motivi, e ha contribuito a creare perplessità nel pubblico. Ma nel caso del tabacco, la pianta più usata dalle attuali sperimentazioni, non c’è nessun contatto con la catena alimentare”.

E a proposito di tabacco, a guardare con attenzione allo sviluppo del molecolar farming sono le stesse multinazionali come la Philip Morris. Che di fronte alla contrazione mondiale del numero di fumatori sta cercando attivamente una nuova destinazione alle sue piantagioni, e sembra ben disposta a convertirle in enormi “farmacie a cielo aperto”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here