“Non abbiamo bisogno dell’energia nucleare, del carbone o dei biocombustibili. Possiamo ricavare il 100% della nostra energia dalla potenza del vento, del sole e delle acque. E possiamo farlo oggi, in modo efficiente, affidabile, sicuro, sostenibile ed economico».
Così inizia un articolo presentato nel settembre 2011 sulla versione on line della rivista IEEE Spectrum. Che illustra le linee generali di un ambizioso piano energetico globale, proposto da Mark Z. Jacobson, professore di ingegneria civile e ambientale all’Università di Stanford, e Mark Delucchi, ricercatore all’Università di California, Davis. Precedentemente trattato nel fascicolo di novembre 2009 della rivista Scientific American e sulla rivista Energy Policy nel marzo 2011.
Prima di esaminare la tesi dei due studiosi va però ricordata la motivazione iniziale della loro proposta, che trae origine dagli studi di Jacobson sull’inquinamento dovuto alle emissioni di particolati carboniosi, in particolare sul riconoscimento del gran numero di vittime che esso provoca (oltre un milione l’anno) e del suo sostanziale contributo al riscaldamento globale. Un aspetto, quest’ultimo, che Jacobson ritiene insufficientemente considerato nelle analisi delle cause delle variazioni climatiche, opinione che si riflette nel rifiuto dei biocombustibili nella frase riportata all’inizio.
Punto di partenza della proposta è la valutazione della domanda globale di energia nell’anno 2030, a una distanza nel futuro che Jacobson e Delucchi considerano sufficiente ad attuare l’impresa colossale di una radicale trasformazione dell’infrastruttura energetica mondiale. A tale data, le proiezioni ufficiali del governo degli Stati Uniti considerano un fabbisogno mondiale di 16,9 TW (1 TW =1012 W), che viene ridotto del 30% a 11,5 TW grazie al bando dei motori termici. Si ricorda infatti che oggi solo circa il 20% dell’energia del carburante degli autoveicoli viene utilizzato effettivamente, dissipando in calore il restante 80%, mentre nei veicoli alimentati dall’elettricità avviene all’incirca l’opposto. Negli altri processi di combustione i due studiosi prevedono l’impiego di idrogeno ottenuto dall’elettricità, dunque senza emissioni carboniose e di anidride carbonica, sostituendo così sia i combustibili fossili che le biomasse.
Venendo al punto, qual è la soluzione che Jacobson e Delucchi propongono per soddisfare la domanda globale di energia? Metà del fabbisogno complessivo anzidetto, considerato in termini di potenza media, proverrebbe da 3,8 milioni di turbine eoliche da 5 MW. Il 20% del restante dovrebbe provenire da 49mila centrali termiche solari a concentrazione da 300 MW, il 14% da 40 mila centrali fotovoltaiche da 300 MW, con quote via via minori da 1,7 miliardi di tetti fotovoltaici, 5350 centrali geotermiche, 900 centrali idroelettriche (due terzi delle quali già esistenti), 720 mila impianti basati sulle onde degli oceani, 480 mila turbine mareali.
Ma tutto ciò non basta. Perché, anticipando le obiezioni circa la natura intermittente del solare e del vento, i due studiosi affermano la necessità di fortissimi investimenti nella ristrutturazione delle reti elettriche, per metterle in grado di assorbire gli effetti delle variazioni locali attraverso compensazioni a livello regionale, nazionale ed eventualmente anche intercontinentale, a tal proposito citando il progetto Desertec (centrali solari nell’Africa del Nord collegate all’Europa meridionale da grandi linee elettriche), in vista dunque della realizzazione di una supergrid mondiale. Basandosi sull’idea che quando in certe zone il vento non soffia oppure il Sole è coperto, ve ne saranno certamente altre dove avviene il contrario. In aggiunta, Jacobson e Delucchi sottolineano l’esigenza di sviluppare grandi sistemi di accumulo di energia, a tal fine considerando anche il contributo delle batterie del complesso del parco automobilistico, in futuro costituito appunto da auto elettriche.
Come arrivare a realizzare tutte le infrastrutture previste? I due studiosi hanno ben presente il gigantesco sforzo da compiere a livello politico-istituzionale, ancor prima che economico, ma pongono in rilievo come imprese di grande impegno siano state effettivamente attuate in passato, anche in tempi relativamente brevi. Come quando gli Stati Uniti, nel corso della seconda guerra mondiale, arrivarono a costruire oltre 300 mila aeroplani nel giro di pochi anni, o quando venne attuato, partendo da zero, il programma spaziale (progetto Apollo) che portò l’uomo sulla Luna. Essi comunque suggeriscono una attuazione graduale dell’impresa ritenendo possibile convertire al rinnovabile il 25% dell’attuale sistema energetico nel giro di 10-15 anni, arrivando all’85% in 20-30 anni, per completarla infine nel 2050.
Per quanto riguarda i costi, Jacobson e Delucchi affermano che «il costo sociale (che comprende il costo al consumatore più i costi esterni fra cui i danni alla salute dovuti all’inquinamento dell’aria…) della generazione elettrica dal vento, dal Sole e dalle acque è probabilmente inferiore al costo sociale della generazione elettrica convenzionale basata sui combustibili fossili, anche includendo il costo ammortizzato dell’acquisizione dei terreni, del capitale e della costruzione. Il costo di trasmettere e gestire l’elettricità sarà probabilmente alquanto più alto che in un sistema elettrico convenzionale». Questo costo addizionale viene valutato in 0,02 $/kWh, cioè il doppio dell’attuale costo della trasmissione a grande distanza in USA.
I due studiosi considerano anche la questione dell’occupazione del suolo richiesta dall’impiego massiccio delle fonti rinnovabili, notoriamente caratterizzate da una bassa densità energetica. Dai loro calcoli risulta che la superficie da impegnare complessivamente per le nuove infrastrutture energetiche ammonta a circa lo 0,5% del totale delle terre emerse, ammettendo che metà delle turbine eoliche siano situate off-shore e ricordando che i terreni dove impiantare questi generatori, a opportuna distanza fra loro, restano in larga misura utilizzabili per l’agricoltura e il pascolo.
I calcoli dettagliati che sorreggono la proposta si trovano in due pubblicazioni che possono essere richieste agli autori. Notiamo poi che l’articolo on-line è corredato da oltre un centinaio di commenti, che può essere interessante esaminare per farsi un’idea delle reazioni dei lettori (e anche, marginalmente, del loro grado di conoscenza della lingua inglese). Ai due estremi dello spettro si situano valutazioni assolutamente entusiastiche (ottimo, tutti dovrebbero leggere questa proposta) e pareri radicalmente negativi (articoli come questo potrebbero condurmi a dare le dimissioni dall’IEEE). Troviamo anche osservazioni interessanti, analoghe a quelle esposte da Stefano Casertano nel suo recente La guerra del clima (Brioschi, 2011), secondo cui i cinesi stanno usando attualmente fonti energetiche fortemente inquinanti per produrre a basso costo pannelli fotovoltaici destinati all’acquisto da parte dei paesi occidentali impegnati nel rispetto del protocollo di Kyoto, con il risultato di un crescente indebitamento. E del resto, come ci informa un rapporto aggiornato al 2010, mentre le emissioni di CO2 da parte dell’Unione Europea registrano una continua diminuzione negli anni, quelle della Cina, in forte crescita, sono arrivate a coprire oltre il 27% del totale mondiale, con una emissione pro capite (6,8 tonnellate) pari a quella dell’Italia. Col risultato che le emissioni complessive continuano a crescere vivacemente, e dunque Kyoto non funziona.
Il problema della bassa densità energetica delle fonti rinnovabili e della conseguente occupazione di suoli, certamente assai delicato, è trattato in un altro rapporto, che per mancanza di spazio mi limito a menzionare: «Una lezione sulla densità di potenza – Come valutare la dimensione spaziale della transizione alle fonti energetiche rinnovabili». L’autore è Vaclav Smil, professore di scienze ambientali all’università di Manitoba, Canada.
Articolo pubblicato su Sapere di Dicembre 2012, con il titolo originale “La grande sfida delle rinnovabili”. Ecco come abbonarsi alla rivista
Mark Z. Jacobson era in buona fede, quando a lanciato il suo piano energetico, ma purtroppo non è uno specialista di energia e non aveva compreso il vero costo energetico del suo piano.
Anche perché ingannato dalle numerose pubblicazioni sulle rinnovabili di seconda generazione che sono viziate dal concetto di energia fossile equivalente (v.Raugei).
In un piano globalmente tutto elettrico le prestazioni attese dalle rinnovabili sono da dividere quasi per tre, che è la media modiale di conversione termico – elettrico.
Gentile Massimo, credo che al di la dei meri calcoli e dei punti di vista, delle aspettetive e dei risultati, si debba considerare che tutti i trovati e le le attività di cui possiamo avvalerci per ottenere un risultato reale dipendono significativamente da tre fattori; l’uno quello della Economia Finanziaria che non vuole perturbare il suo modello di resa; il secondo legato alla Politica che ormai indirizzata sempre più dalla Meccanica Finanziaria non è capace di individuare linee innovative di indirizzo ; il terzo fattore prevede che la distribuzione energetica passi dalla egemonia produttiva e concentrata. L’unica soluzione credo stia nel considerare che l’energia sia da considerare una necessità primaria e autoproducibile. Come lei sa oggi potremmo al di la dei monopoli, produrre ciascuno con macchine relativamente costose, l’energia che ci necessita. Se desidera dimostrazioni chieda pure e apriamo un blog. grazie Agostino