Un’astrofisica sul podio

Classe 1950, docente all’Institute of Astronomy, Geophysics and Atmospheric Sciences dell’Università di San Paolo, in Brasile, e vice-presidente dell’International Astronomical Union (Iau). E’ l’astrofisica Beatriz Barbuy l’ultima vincitrice, insieme all’ingegnere indiano Roddam Narasimha, del Trieste Science Prize, riconoscimento istituito dall’Accademia delle scienze per i paesi in via di sviluppo (Twas) e da Illycaffè e destinato agli scienziati dei paesi in via di sviluppo. Cinquanta mila dollari di premio per il suo importante contributo all’astrofisica, nel campo dell’evoluzione della composizione chimica delle stelle. La Barbuy, infatti, è stata la prima ricercatrice a dimostrare che le stelle povere di metalli nell’alone galattico (la lieve sfera che circonda il disco galattico) hanno una sovrabbondanza di ossigeno dovuta alla presenza di ferro. Non solo. Le sue ricerche, che abbinano all’osservazione l’interpretazione dei dati spettroscopici, si sono concentrate anche sugli ammassi globulari (ammasso di oltre un milione di stelle tenute assieme in forma sferica dalla forza di gravità) nel centro della via Lattea (il cosiddetto bulge galattico) rivelandone un’origine molto antica. Galileo l’ha intervistata.

Professoressa Barbuy, può raccontarci di cosa si occupa?

“I miei principali studi sono nella spettroscopia. Ho sviluppato un codice per il calcolo delle linee molecolari, iniziato durante il mio dottorato a Parigi. Ho anche compiuto molte osservazioni soprattutto all’European Southern Observatory. Il mio lavoro consiste sia di osservazioni che di analisi e interpretazione dei dati spettroscopici. Tra le mie scoperte, quella dell’alta e costante abbondanza di ossigeno nell’alone galattico, dell’abbondanza di carbonio in stelle povere di metallo e dell’origine antica del bulge galattico e delle stelle povere di metallo, lavoro che ho svolto in collaborazione con un gruppo europeo, in particolare dell’osservatorio di Parigi”.

Cosa significa essere una scienziata nel suo paese?

“Il Brasile ha il miglior sistema di borse di studio che io conosca. Ne ho ottenuta una di 5 anni per svolgere il mio dottorato all’osservatorio di Parigi. Posso quindi dire che nel mio paese non è un grosso problema essere una donna in questo campo, dal momento che ci sono più donne in astrofisica che in fisica, per esempio”.

Quali sono i problemi per gli scienziati nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Brasile? In molti paesi sviluppati il problema è la mancanza di interesse per la scienza nei programmi scolastici, nella società e da parte della politica. Ciò ha un effetto sulle decisioni politiche e sui finanziamenti.

“In Brasile non è diverso: noi stiamo lavorando, anche insieme all’Iau, e diversi programmi stanno per essere sviluppati allo scopo di coinvolgere i giovani studenti a tutti i livelli nella scienza e l’astronomia è un buon modo per richiamare la loro attenzione. Sebbene i fondi per la scienza in Brasile siano sempre maggiori, non siamo membri di grandi consorzi, come per esempio l’European Southern Observatory, perché la partecipazione è proporzionale al Pil di un paese e per il Brasile sarebbe un investimento troppo alto”.

Quali progressi ritiene necessari?

“E’ chiaro che dobbiamo formare sempre più studenti e lavorare sull’insegnamento a vari livelli. Ma intendiamo lavorare in un modo più globale, per esempio insegnando attraverso internet, a maggior ragione in un paese enorme come il Brasile, e rimanendo in contatto con gli insegnanti, cosa che stiamo facendo negli ultimi anni attraverso le Olimpiadi di Astronomia”.

Quali sono i principali progetti di astrofisica in cui è coinvolto il Brasile?

“Abbiamo aderito a due consorzi internazionali: l’Osservatorio Gemini, che consiste di due telescopi di 8 metri di diametro, e il telescopio Soar (Southern Observatory for Astrophysical Research), di 4 metri. Nel primo abbiamo solo il 2,5 per cento del tempo di osservazione, nel secondo il 34 per cento. Abbiamo presentato dei progetti per la costruzione di alcuni spettrografi per il telescopio Soar e per noi è già un grande passo, dal momento che non abbiamo una tradizione nel campo delle strumentazioni. Ora stiamo studiando come aderire a progetti di radioastronomia, come Alma (Atacama Large Millimeter Array) e a un grande telescopio, ma in entrambi i casi si tratta di una partecipazione di nicchia, e non come partner normali, a causa degli alti costi previsti”.

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