C’è uno spettro che si aggira per le stanze della Microsoft. È l’open source, il nemico tanto temuto dalle software house di tutto il mondo. E che da qualche anno sta insidiando il business del software proprietario, ovvero quello in cui il codice sorgente viene tenuto segreto per paura che possa essere modificato o diffuso. Nelle ultime settimane in Italia lo scontro tra coloro che vorrebbero lavorare con programmi i cui codici sono accessibili e quanti invece spalleggiano il software proprietario si è fatto sempre più aspro. Proprio ora che l’Unione Europea ha invitato i governi a usare nella pubblica amministrazione il software libero. Materia del contendere: la riforma scolastica. Che almeno per adesso non prevede nei programmi di informatica alcun insegnamento dell’open source.Ma andiamo per ordine. Lo scorso 6 giugno “Software Libero nella Scuola”, un’organizzazione che si batte per far entrare nelle scuole l’open source sia come sistema operativo che come materia di studio, invia una lettera al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Letizia Moratti, con cui invita lo stesso ministro a riflettere sulla possibilità di inserire nel “Piano Nazionale di Formazione degli insegnanti sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione” l’insegnamento del software libero. “La scelta del sistema operativo”, si legge nella lettera, “determina e condiziona l’intreccio tra le nuove tecnologie e la didattica e, assieme al software applicativo, può essere considerato come “il libro di testo” di questo Piano”. Lo scritto insiste, poi, sui requisiti che l’open source ha e che sono richiesti espressamente dal Piano in questione: “I materiali disponibili (…) devono essere fruibili dall’utente finale senza bisogno di prodotti specifici utilizzando strumenti liberamente reperibili in rete o messi a disposizione gratuitamente dai produttori”.
Non si è fatta attendere la contro mossa della Microsoft che, un paio di settimane più tardi, ha chiesto e ottenuto un’audizione al Senato. E in quell’occasione ha presentato una memoria, riportata in gran parte dalla rivista telematica “Punto Informatico”, con cui attacca frontalmente il mondo dell’open source, lanciando anche dei moniti molto chiari al governo. “Ultimamente”, si legge nella memoria della Microsoft, “sono emerse preoccupazioni sul fatto che in campo politico, attraverso indirizzi governativi di acquisto, finanziamenti alla ricerca o politiche standard, si possa cercare di favorire lo sviluppo di un modello di software piuttosto di un altro. Incoraggiamo il Parlamento ed il Governo a tener conto dei principi neutrali di cui si fa portavoce Microsoft insieme ad altre aziende e associazioni industriali che riconoscono nel software proprietario il motore dell’economia digitale futura”. “Dichiarazioni gravissime”, commenta Fiorello Cortiana, senatore dei Verdi e firmatario di un emendamento che prevede l’insegnamento a scuola sia del software proprietario che libero. “In poche parole l’azienda di Redmond chiede al governo italiano di non acquistare software liberi e di non condizionare il mercato. Inoltre, mi sembra che la relazione sia piena di contraddizioni” aggiunge il senatore. “In un passaggio, infatti, si accenna al fatto che l’open source non è capace di creare business e poi subito dopo si afferma che i software liberi costano di più perché le spese per l’assistenza sono maggiori”.
E le contraddizioni non sono solo queste. In particolare quando la relazione si sofferma sulla diffusione del software libero: “Diversamente dai sistemi operativi ed applicazioni proprietarie, i sistemi open source non hanno alcuna diffusione nelle case e nei Pc in genere. Lo sviluppo asimmetrico di un prodotto verso un altro dovrebbe coincidere con le competenze di tutti favorendo linearità con quanto già esiste sul mercato. Questo vale maggiormente quando parliamo di E-Government che dovrà favorire lo scambio e il dialogo fra il cittadino e la Pubblica Amministrazione. La Pubblica Amministrazione, crediamo quindi, debba fare leva su sistemi ad oggi più diffusi in modo tale da non dover colmare un gap di alfabetizzazione che comporterebbe tempo e costi ulteriori con conseguenti difficoltà gestionali”. Un’argomentazione che però è in contrasto sia con la natura stessa del software libero, certamente più compatibile di quello proprietario, che con quanto riportato, per esempio, da un’indagine del 2000 de Il Sole 24 ore che mostra come negli Stati Uniti il 56 per cento delle aziende utilizzi appunto software libero.Come andrà quindi a finire la vicenda? Bisognerà aspettare qualche mese, ovvero quando finirà la discussione sulla riforma scolastica, per avere una risposta. Per ora la memoria della Microsoft è stata seguita da numerose risposte di gruppi, associazioni e società che promuovono e forniscono software liberi. Ma qualche asso nella manica l’azienda di Bill Gates ce l’ha, visto che è il maggiore “fornitore informatico” dello Stato. E forse prima di fargli uno sgarbo il Governo potrebbe pensarci più di una volta.