Una novità dirompente, era stata definita. Ma a diversi mesi dalla sua istituzione – prevista da una norma contenuta nel decreto di accompagnamento alla Finanziaria per il 2007 – l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) voluta dal ministro Fabio Mussi rischia di non vedere mai la luce, visto che dovrebbe essere operativa a maggio di quest’anno, dunque dopo le elezioni. Compito della nuova struttura dovrebbe essere quello di promuovere la qualità delle Università e degli enti di ricerca anche attraverso attività di valutazione, raccolta e analisi di dati, consulenza, formazione e promozione culturale. Con un impatto finanziario sugli atenei e i progetti di ricerca: in altre parole, più soldi ai migliori.
Giuseppe Valditara – Pdl, Ordinario di istituzioni di diritto romano, capogruppo di Alleanza nazionale nella commissione I Senato Affari costituzionali; membro della commissione VII Senato istruzione, Beni culturali, Sport.
Come giudicate l’Agenzia Nazionale di Valutazione voluta dal ministro Mussi?
“L’Agenzia, a mio giudizio, ha seguito un percorso kafkiano, scontando fra l’altro un gravissimo ritardo: solo nei giorni scorsi il decreto è stato inviato alla Corte dei Conti. È una struttura che rischia di essere condizionata negativamente da un regolamento troppo farraginoso e soffocante, che la fa assomigliare a una sorta di Grande Fratello destinato a occuparsi di tutto. Secondo noi, invece, l’Agenzia deve concentrarsi sulla valutazione dei risultati della ricerca e della didattica universitaria, sulla base di indicatori standard internazionali e indiscutibili”.
Per esempio?
“Per esempio, la quantità di citazioni su riviste internazionali ottenute da un lavoro scientifico condotto dai ricercatori afferenti a una data università: un criterio, tra l’altro, che vede l’Italia piazzata anche meglio di altri paesi, come la Francia, che investono di più in ricerca. Invece oggi l’Agenzia è una specie di organo parallelo al Ministero dell’Università e della Ricerca, e rischia di essere un monstrum incapace di operare agevolmente, vista l’assenza di risorse a disposizione. Bisogna, invece, concentrarsi sull’aspetto della valutazione dei risultati ottenuti dalle singole università in modo da collegare ad essa l’attribuzione dei finanziamenti”.
Cosa pensate dell’introduzione di un “search committee” per la nomina dei vertici degli enti di ricerca, cioè di un sistema di selezione basato sul merito, di cui fanno parte anche personalità internazionali?
“La norma è frutto di un mio emendamento approvato poi da tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione. La riforma degli enti di ricerca ha infatti modificato per via parlamentare la proposta governativa, che appariva senz’altro generica ed inadeguata. Le modifiche sono state introdotte in modo bipartisan con il contributo decisivo dell’opposizione e di An in particolare. Si tratta dunque di una riforma buona nel suo complesso che ha integrato, senza abrogarla, la riforma Moratti. Affermare che per le cariche più importanti sia la comunità scientifica a proporre i nomi a un governo che resta, alla fine, responsabile della nomina, è una scelta in favore della trasparenza e della competenza. È altrettanto importante avere legato i finanziamenti degli enti alla valutazione dei risultati effettivamente raggiunti, così come disposto da un altro emendamento proposto da noi e approvato all’unanimità. Oggi, dunque, è lo Stato che fissa gli obiettivi generali della ricerca, lasciando agli enti la libertà di organizzarsi come meglio credono. Ed è sempre lo Stato che, in caso di mancanza di risultati, prende i dovuti provvedimenti, anche arrivando al commissariamento del cda. Di fatto, la riforma Moratti è stata migliorata con pochi interventi fondamentali, creando nel complesso un sistema magari ulteriormente perfezionabile, ma che può già cominciare a dare buoni frutti”.
Però, nel caso della nomina di Luciano Maiani alla presidenza del Consiglio nazionale delle ricerche la procedura non ha evitato le polemiche…
“Non erano problemi di carattere scientifico. Sono state solo espresse riserve sul fatto che il presidente del Cnr fosse entrato in una vicenda poco opportuna. La posizione di Maiani si è comunque chiarita grazie alle sue stesse dichiarazioni rese successivamente in diversi sedi”.
Andrea Ranieri – Pd, Laureato in filosofia, eletto nella XV Legislatura al Senato per i Democratici di Sinistra, membro della VII Commissione Istruzione, Beni culturali, Sport.
Come giudicate l’Agenzia Nazionale di Valutazione voluta dal ministro Mussi?
“Noi abbiamo dato un contributo importante chiedendo principi e punti di riferimento certi. Tra questi, usare il metodo del comitato di selezione non solo per la scelta dei presidenti, ma di tutto il Cda degli enti sul quale, in qualche modo, la politica avrebbe potuto mantenere un potere di designazione. Il fatto che comitati di selezione promossi dalla comunità scientifica siano capaci di produrre rose di nomi prestigiosi è un passo avanti di grande importanza, e noto con piacere che il ministro Mussi ha anticipato questi passaggi prima ancora che la legge diventasse esecutiva”.
Dunque considerate l’introduzione del “search committee” per la nomina dei vertici degli enti di ricerca una nota positiva?
“Credo che questo passaggio abbia contribuito a rovesciare il giudizio della comunità scientifica internazionale sulla situazione italiana. Abbiamo riscontrato diversi articoli di grandi riviste internazionali secondo cui nel nostro paese la lottizzazione è stata sostituita dai principi del valore e del merito. Il mio solo rammarico è di non avere ancora visto l’Agenzia in funzione, ma la sua istituzione è stata una cosa importante fatta dal governo Prodi. Così cadono gli alibi di chi pensa che non sia conveniente investire sulla ricerca”.
Secondo voi è necessario il riordino degli enti di ricerca?
“Quello che, piuttosto, bisogna valutare è come sostenerli. Spesso in passato i finanziamenti sono stati usati male. Adesso, con l’Agenzia nazionale di valutazione, possiamo realisticamente porci l’obiettivo di portare gli investimenti in ricerca e università a livelli europei”.
Vito Francesco Polcaro – la Sinistra l’Arcobaleno, Senior scientist dell’Istituto Nazionale di AstroFisica del Cnr di Roma e membro del Comitato scienziati e scienziate contro la guerra.
Come giudicate l’Agenzia Nazionale di Valutazione voluta dal ministro Mussi?
“Che in campo scientifico la valutazione esista è un fatto ovvio e scontato. Del resto lo stesso metodo galileiano del “provando e riprovando” è un metodo di valutazione, così come fu – per quanto impropriamente – lo stesso processo a cui Galileo fu sottoposto. Intendo dire con questo che la valutazione esiste già attualmente (si pensi ai finanziamenti dati su bandi, alla pubblicazione di articoli su riviste con referee e così via) ed è necessaria, ma ciò non significa che venga sempre fatta nel modo migliore e purtroppo a volte neppure in modo accettabile. La Sinistra l’Arcobaleno è quindi favorevole all’Agenzia nazionale, ma vuole essere sicura che questa agisca nel modo migliore, proprio perché si tratta di procedimenti complessi. Bisogna trovare valutatori che siano, al tempo stesso, competenti e disinteressati, e certo non si tratta di un problema semplice. Bisogna trovare metodi oggettivi, ma abbastanza flessibili da dare spazio anche a ricerche che potrebbero sembrare troppo rivoluzionarie, e anche questo non è facile. Tutto, insomma, si può migliorare. Ci sono metodi che funzionano meglio e altri peggio, ma quello che non bisogna fare è portare all’esasperazione la competizione nella ricerca, perché questa è una potenziale causa di scorrettezze. La valutazione non va mai usata come una clava. E’ sbagliato insomma considerare l’Agenzia come un modo per risparmiare soldi, perché nulla potrà mai funzionare senza le dovute risorse. Sostenere che la valutazione serve perché così si finanzia solo la ricerca di eccellenza è una cosa irrealizzabile, perché l’eccellenza si sviluppa soltanto a partire dall’esistenza di una vasta base di ricerca “ordinaria”.
Secondo voi è necessario il riordino degli enti di ricerca?
“E’ impensabile promuovere l’ennesima riforma degli enti di ricerca, perché così li si uccide. Piuttosto è indispensabile eliminare alcuni interventi drammaticamente sbagliati fatti durante la legislatura 2001-2006, quando per motivi politici è stato applicato uno spoil system rigidissimo, senza alcun rispetto delle competenze delle persone, e si è imposto per la ricerca un principio mercantilistico che va necessariamente eliminato. Salvo alcuni guasti particolari, però, a livello generale non vedo modifiche indispensabili e urgenti. Quello che è urgente, piuttosto, è ridare la giusta importanza agli enti, dopo che per troppi anni sono stati progressivamente sottratti ruolo, fondi e importanza alla ricerca. Per prima cosa, quindi, vanno introdotti finanziamenti opportuni: soldi veri, però, non quelli che arrivano solo se la trimestrale di cassa è buona. Insieme, si deve aumentare il numero di ricercatori e tecnici. Se non si interverrà in fretta, nel giro di cinque anni moltissimi ricercatori degli enti pubblici andranno in pensione e intere linee di ricerca evaporeranno. Invece bisogna produrre nuova occupazione, a tempo indeterminato: la buona ricerca non la si fa con i precari, che devono potere lavorare con la giusta tranquillità. Infine, deve essere stabilito un stato giuridico per i ricercatori adeguato a garantire libertà di ricerca, sancita dall’articolo 33 della Costituzione”.
Rocco Buttiglione – Udc, filosofo, eletto al Senato, membro della VII Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) e della XIV Commissione permanente (Politiche dell’Unione europea), oltre che della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
Come giudicate l’Agenzia Nazionale di Valutazione voluta dal ministro Mussi? E il sistema di selezione per le cariche più importanti basato sul merito giudicato anche da personalità internazionali?
“La valutazione è, da sempre, un problema dell’università italiana e abbiamo bisogno di strumenti seri per saperla fare, dunque siamo favorevoli all’Agenzia voluta dal ministro Mussi. Siamo contrari, invece, all’abitudine tutta italiana che vede, per procedere alla nomina del Cda di un ente, la distruzione dell’agenzia di valutazione che c’era prima e la costituzione di una nuova, magari non così diversa. Speriamo, almeno, che il governo che ci sarà dopo le elezioni non provveda con altre leggi in merito. Bisogna, poi, che sulla valutazione siano adottate politiche bipartisan, perché questo è un problema bipartisan. Se non si procede così resterà sempre il sospetto – magari non del tutto ingiustificato – che un professore non sia mai davvero scollegato dal potere politico che lo ha nominato. Riguardo il principio del merito giudicato anche da personalità internazionali penso che sia positivo, come positivo è, appunto, ogni meccanismo che serve a sottrarre la ricerca dall’interferenza eccessiva della politica”.
Secondo voi è necessario il riordino degli enti di ricerca?
“Questo è un ambito spesso affrontato, a mio parere, con un eccesso di illuminismo. Invece, io sarei più empirico. Ovvero: non tocchiamo gli enti che funzionano, anche se piccoli, perché rischiamo di comprometterli. In Italia esistono storicamente enti di ricerca che sono ormai patrimonio del paese. E sebbene questi potrebbero essere integrati logisticamente con realtà più grandi, sarebbe meglio lasciarli stare, altrimenti corriamo il rischio di trasformare un gioiellino in un carrozzone. Prima di parlare di riordino degli enti, facciamo valutazioni concrete, caso per caso. Il problema, invece, è un altro”.
Quale?
“La carriera dei ricercatori universitari. Lo dico per spirito di provocazione, e voglio che questa mia affermazione sia letta nel suo giusto tono, ma sarei portato a dire che, in realtà, l’Italia soffre per la presenza di troppo pochi precari. Ripeto: la mia è una provocazione. Ma in Italia c’è il mito del ruolo che non ha eguali negli atenei stranieri, e che rischia, alla fine, di produrre un sistema troppo ingessato. Nelle università di altri paesi, i contratti durano cinque anni quando sono a lungo termine, e questo tiene tutti in movimento e costringe a essere attivi. Da noi, invece, una carriera è in larga misura predeterminata a prescindere dal valore della persona e il merito effettivo rischia di avere un effetto nullo. Per questo dico che ai ricercatori bisogna dare più soldi e meno garanzie, premiandone le vere capacità”.
Alberto Arrighi – La Destra, eletto alla Camera dei deputati nel 2001 nella lista di Alleanza Nazionale, entra dapprima a far parte della Commissione Cultura e Istruzione e successivamente della Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo e della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati
Come giudicate l’Agenzia Nazionale di Valutazione voluta dal ministro Mussi?
“Ci sembra soltanto l’ennesimo carrozzone burocratico che appesantisce il sistema della ricerca italiana”.