Cattive nuove per tutte le popolazioni di pinguini, a qualsiasi specie appartengano: il numero degli individui, infatti, sta crollando ovunque vertiginosamente. Inquinamento, cambiamenti climatici, sfruttamento delle risorse ittiche ed edificazione incontrollata delle coste sono tra le cause principali della condizione critica di questi uccelli marini che vivono esclusivamente nell’emisfero meridionale. L’allarme è stato lanciato sulla rivista BioScience da Dee Boersma, docente dell’Università di Washington ed esperta di pinguini (qui il link all’articolo).
Boersma ha collaborato per 25 anni con la Wildlife Conservation Society, studiando la più grande colonia al mondo di Pinguini di Magellano (Spheniscus magellanicus) a punta Tambo, in Argentina. Secondo le sue osservazioni, la popolazione, che sino ai primi anni Ottanta annoverava circa 400mila coppie, oggi risulta dimezzata.
Esistono altri sconcertanti esempi di come le popolazioni di questi uccelli stiano accusando i colpi di innumerevoli cambiamenti globali; si possono citare i Pinguini Africani, passati dai 1,5 milioni di coppie di venti anni fa alle circa 63mila del 2005. Anche i Pinguini delle Galápagos (Spheniscus mendiculus) e di Adelia (Pygoscelis adeliae) non nuotano in acque tranquille, visto che il numero dei loro individui sta diminuendo in modo esponenziale. Quanto ai Pinguini Imperatore (Aptenodytes forsteri), basti pensare che la colonia protagonista del film-documentario di Luc Jacques “La Marcia dei Pinguini”, un anno dopo il film ha subito un drastica diminuzione a causa dell’assottigliamento del ghiaccio antartico, che ha costretto i piccoli a nuotare ancor prima di aver sviluppato un consistente strato isolante di grasso sottocutaneo.
I cambiamenti climatici però non sono l’unico ostacolo alla riproduzione di questi uccelli: lo sfruttamento incontrollato delle risorse ittiche li sta privando delle prede, e il petrolio disperso in mare – in seguito sia alle estrazioni, sia allo scarico e al lavaggio delle navi, sia agli incidenti – è un altro fattore di grande stress. Lo sviluppo incontrollato delle aree costiere, ancora, rappresenta un’ulteriore minaccia per le specie che sfruttano le coste per riprodursi. La drammatica situazione era stata già denunciata lo scorso anno a Bali, durante il summit mondiale sui cambiamenti climatici: allora il Wwf aveva chiesto un’azione forte mirata a proteggere l’ambiente antartico, l’ultimo “baluardo naturale” del pianeta. (e.a.)