La tragedia di Chernobyl del 26 aprile 1986 indusse, all’epoca, diversi paesi europei, tra cui Austria, Spagna, Belgio ed Olanda a bandire l’uso del nucleare. Con il referendum abrogativo del 1987, anche l’Italia ha decretato l’abbandono del nucleare come forma di approvvigionamento energetico, con la conseguente chiusura delle quattro centrali attive. Con la legge n.133 del 2008 il Governo ha previsto la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare, opportunità su cui gli italiani potranno esprimersi in occasione del referendum del prossimo 12 giugno. Qualunque sarà il risultato della consultazione, il Governo, all’indomani del disastro della centrale di Fukushima, ha annunciato una moratoria di 1 anno sulla questione nucleare.
Il disastro di Fukushima ha posto all’attenzione di tutti la difficoltà di rendere le centrali sicure: di fronte a un terremoto devastante come quello dell’11 marzo, anche gli impianti più tecnolgicamente avanzati sono destinati a subire danni ingenti. “I paesi situati in zone geologicamente sensibili dovrebbero controllare i loro impianti mentre quelli che non li hanno dovrebbero contenere i loro progetti futuri”, ha scritto Allison Macfarlane, docente di Scienza e Politica ambientale presso la George Mason University, in un articolo pubblicato sul Bullettin of Atomic Scientist. In particolare, Macfarlane sostiene che l’imprevedibilità dei fenomeni geologici dovrebbe determinare a monte il contenimento di progetti di centrali nucleari la cui stabilità finirebbe per dipendere dai movimenti terrestri. L’esperta d’oltreoceano si sofferma anche sulla fretta, che sfocia in ostentazione, dei paesi economicamente avanzati nel portare a termine progetti che non ponderano il rischio ambientale, determinando, così, tragedie come quella giapponese. “L’energia nucleare richiede stabilità per funzionare bene” conclude.
È chiaro, allora, che qualsiasi valutazione circa la costruzione di centrali nel nostro paese dovrebbe passare attraverso un’attenta analisi della struttura del territorio, visto l’alto rischio sismico esistente (vedi Galileo). Ma una lista dei possibili siti per l’edificazione di centrali nucleari in Italia esiste già. La mappatura, tracciata nel 1979 dal Comitato nazionale per l’energia nucleare (CNEN), è stata riconosciuta dal Governo come ancora valida. Dopo la sciagura giapponese, però, Emilia Romagna, Marche, Basilicata, Toscana, Liguria, Molise, Puglia, Umbria, Calabria, Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Provincia di Bolzano, hanno espresso un parere negativo rispetto alla localizzazione delle centrali. Lombardia, Piemonte, Campania e Veneto hanno, invece, manifestato il loro favore, almeno per ora. Il parere degli enti locali è infatti obbligatorio, vista la delicatezza delle questione. La Corte Costituzionale ha, infatti, obbligato l’esecutivo nazionale ad un “adeguato coinvolgimento” delle Regioni che dovranno ospitare le centrali.
Intanto il 16 marzo i parlamentari europei hanno discusso della situazione delle centrali nucleari in Europa. Il commissario tedesco all’energia Günther Oettinger ha però anticipato ai deputati che “ci sono visioni diverse fra paesi che mettono in primo piano la sicurezza“, come Germania e Austria, “e altri che si oppongono”, come la Francia, il Regno Unito e l’Italia.