La città perduta delle Ande

Un altro tassello si aggiunge alla lenta e difficile ricostruzione della storia degli antichi popoli delle Ande centrali: una storia in gran parte ancora sconosciuta. Ma forse questa volta è stato trovato l’”anello mancante”: una cittadella fortificata preincaica incastonata tra le montagne del Perù. “L’arditezza e la maestria mostrate dai suoi costruttori, insieme alla complessità di questo insediamento, sono sorprendenti”, dice l’archeologa italiana Laura Laurencich, che l’ha scoperta dopo un’appassionata ricerca. La cittadella è arroccata sulle vette delle Ande, a quasi quattromila metri sopra il livello del mare. In questa intervista a Galileo, l’archeologa racconta la storia di questa scoperta, e le difficoltà incontrate per proseguire le ricerche: l’impossibilità di iniziare gli scavi e il timore che la mancanza di fondi lasci nell’ombra questo gioiello delle antichissime civiltà andine.

Cominciamo dall’inizio di questa entusiasmante avventura…

“Tutto risale al 1996, quando fui invitata al 4° Congresso Internazionale di Etnostoria, a Lima. In quell’occasione capii che avrei potuto trovare delle guide disposte ad accompagnarmi in una zona, di cui non posso ancora rivelare il nome, mai raggiunta dagli archeologi a causa della guerriglia. Dopo quattro giorni di viaggio in autobus, jeep e cavallo siamo arrivati in una vallata in cui c’erano tracce di insediamenti umani molto antichi. Mi resi subito conto che avrebbero permesso di aggiungere molti tasselli alla storia dell’antico Perù. Nella vallata c’è di tutto, ci si potrebbe lavorare per una vita intera. I reperti archeologici risalgono a un periodo che va dal X secolo avanti Cristo al XVI secolo dopo Cristo. Ma tra le tante rovine, soprattutto due cittadelle hanno attirato la mia attenzione. Una su ogni lato della vallata, quasi a proteggere gli antichi terrazzamenti agricoli, costruiti lungo i fianchi della montagna. Mi sono soffermata su un sito, che chiamerò Pinchay, e che comprende circa ventimila metri quadri entro le bellissime mura cintate. La natura che le circonda è altrettanto bella: due alte cime unite da una sella, quasi a rendere il tutto più vicino agli Dei”.

Ma cosa poteva essere Pinchay? Una città, una necropoli, una postazione militare?

“Probabilmente era tutte queste cose insieme. Le popolazioni locali si rifugiavano all’interno delle sue mura in caso di pericolo. Ma doveva essere anche una zona adibita al culto delle divinità. Infatti sulla cima più alta c’è una piazza circolare con uno gnomone, cioè un monolite appuntito che permette di studiare la posizione degli astri. Un indizio importante, perché nelle culture precolombiane astronomia e religione erano strettamente connesse. Non a caso, attorno allo gnomone c’è una zona con vari tipi di inumazione, sia a camera che a pozzo. Poi si incontrano due piazze lastricate, e ancora un’altra piazza, probabilmente un’altra necropoli. Fuori dalla cinta muraria c’è una costruzione satellite legata a un muro, non massiccio come gli altri, e costruito probabilmente in tempi successivi. Lì c’è anche parecchia acqua, quindi supponiamo che quella fosse la zona abitativa della gente comune”.

La “regina” delle città precolombiane è Machu Picchu, costruita dal popolo Inca. C’è qualche analogia tra i due insediamenti?

“La posizione geografica su due cime collegate da una sella ricorda effettivamente Machu Picchu. Tuttavia, le funzioni delle costruzioni sono diverse. Si è scoperto recentemente che Machu Picchu era la residenza estiva di Pachacuti, un imperatore Inca. La città fu costruita a circa 2500 metri di altezza, quindi in una zona più ricca di vegetazione. Anche le mura, l’elemento difensivo, sono costruite in maniera diversa. Quello che accomuna Machu Picchu e Pinchay è la presenza di uno gnomone. Ma, ripeto, c’era da aspettarselo, visto che in tutte le culture peruviane era importantissimo il culto degli astri”.

Secondo lei quanto è antica Pinchay?

“Il tipo di costruzione sembra riferirsi a un periodo particolarmente travagliato per il Perù, quando a partire dal IX secolo dopo Cristo è cominciata la decadenza dell’impero Huari-Tiahuanaco, e si sono andate affermando piccole etnie in lotta fra di loro. In questo periodo gli Inca non erano importanti, anzi si erano infiltrati a Cuzco come popoli vassalli di etnie precedenti. Ma in seguito sono riusciti ad avere la meglio: l’impero Inca sarebbe cominciato a emergere soltanto verso la fine del XIII e l’inizio XIV secolo. A giudicare dal tipo di struttura credo che l’insediamento sia posteriore all’impero Huari-Tiahuanaco, quando le città venivano edificate nel fondo valle. Mentre alla fine dell’impero, in un momento travagliato, le costruzioni sono state spostate in alto. Però potrebbe risultare anche più antica. Soltanto dopo gli scavi archeologici e stratigrafici e un’attento studio dei reperti si potranno avere certezze”.

Questa costruzione è stata il rifugio di un solo popolo o si sono succedute civiltà diverse?

“Dal punto di vista tecnico-costruttivo la cittadella è costruita da un’unica mano, c’è un unico stile, non si notano tanti rifacimenti. A parte le mure difensive, si vede la base delle mura abitative. Il tipo di tecnica usata per la costruzione degli edifici è di alternare il materiale costruttivo per colori, per realizzare giochi decorativi. La parte più bassa delle costruzioni è sempre fatta con materiale ciclopico, poi si passa a una parte più elegante di pietre tagliate di colori diversi. Questo sito, che è sicuramente legato alle zone più basse e agricole, è stato utilizzato, con il suo simile dall’altra parte della vallata, a scopo difensivo”.

Cosa vi impedisce di tornare sulle Ande e di dare il via agli scavi?

“Quest’anno sono tornata sul sito per fare delle foto e per coinvolgere qualche sponsor in questa impresa. Nel frattempo, nessuno si è occupato della zona. Ma per effettuare gli scavi archeologici ci vuole il permesso della locale Sovrintendenza Archeologica, cioè l’Instituto Nacional de Cultura. E per avere il permesso bisogna dimostrare di avere fondi. La cifra che ho stimato si aggira attorno ai 500 mila dollari, calcolando che occorrono tre anni di scavi. Bisogna poi cintare il sito, avere la garanzia della presenza di guardiani giorno e notte, e pagare due archeologi peruviani che devono essere coinvolti di diritto negli scavi. Spero che mi permettano di raccogliere dei fondi”.

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