Oltre trenta molecole libere da brevetto solo nel 2007 e altre 54 per la fine del 2010. I farmaci equivalenti (o generici) rappresentano oggi quasi un terzo del mercato italiano e, in termini economici, questo si traduce in un risparmio per il Servizio sanitario nazionale da reinvestire in ricerca e sviluppo. Non poco se si pensa che il nostro servizio nazionale copre circa il 70-75 per cento della spesa sanitaria (il rimborso più alto in Europa).
Di più: grazie alla legge per cui lo stato rimborsa il prezzo più basso tra i medicinali basati sulla stessa molecola, dal 2001 al 2006 la spesa per i generici è passata dallo 0,5-1 al 13,7 per cento della spesa totale per farmaci e le prescrizioni sono andate crescendo dall’1 a circa il 25 per cento. “Le industrie si mostrano reattive e si preparano ad avere l’autorizzazione per il commercio del generico il giorno dopo la scadenza del brevetto”, ha affermato Nello Martini, direttore generale dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) durante il primo evento internazionale sui farmaci equivalenti che si è tenuto lo scorso mese a Roma.
Ciononostante, il mercato italiano dei generici risulta più faticoso di quello dei maggiori paesi europei: il trend è sicuramente in crescita, ma siamo lontani dagli altri stati. Secondo i dati Ims Health (società che fornisce informazioni di marketing per l’industria farmaceutica), nell’anno in corso il comparto sta crescendo globalmente del 13-14 per cento (in Italia del sette per cento). Per Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia e Spagna le stime per il 2007 parlano di vendite per 14,88 miliardi di euro (su un mercato europeo di quasi 17 miliardi) e di 1,78 miliardi per la sola Italia (26,59 per cento nelle farmacie e 73,41 per cento negli ospedali) contro gli 1,66 miliardi di euro del 2006. Per il 2011 si prevede che le vendite nel nostro paese possano arrivare a 2,54 miliardi di euro. Dando uno sguardo all’Europa, la Danimarca risulta uno degli stati dove i farmaci equivalenti sono più venduti: nel 2006, il tasso di penetrazione dei generici è stato del 55 per cento (dato dovuto soprattutto alla domanda dei cittadini perché i medicinali costano molto e la quota rimborsata dallo stato è bassa), seguita dalla Germania con il 54 per cento, mentre in Francia, il tasso si è attestato sul 18 per cento, comunque più alto che in Italia (13,7 per cento).
In linea di principio, il sistema competitivo messo in moto dai prodotti fuori patente è un circolo virtuoso su cui Assogenerici (Associazione nazionale Industrie farmaci generici) e Farmindustria (Associazione delle imprese del farmaco) si trovano d’accordo: le risorse liberate dall’abbattimento dei prezzi (i generici costano dal 20 al 50 per cento in meno rispetto a quelli “firmati”) rimangono all’interno del servizio sanitario e vengono tenute sul mercato dei farmaci. Secondo Assogenerci, però, questo risparmio deve essere investito per la ricerca. “Se il mercato decide di utilizzare le risorse derivanti dai generici per espandere le terapie già consolidate e non per fare innovazione, il sistema non può funzionare”, ha affermato Martini. Si tratta del cosiddetto “shift effect” ed è quello che è avvenuto per esempio con le statine: “Quando una molecola si libera del brevetto, l’utilizzo si sposta su farmaci della stessa categoria terapeutica ancora protetti; così le vendite di altri medicinali con indicazioni simili e ancora coperti da brevetto salgono in modo sensibile”, ha spiegato Roberto Teruzzi, presidente di Assogenerici. “Nonostante l’aumento dei brevetti dal 1992 a oggi”, ha aggiunto Elke Grootenm direttore delle politiche farmaceutiche dell’Ega (European Generic medicine Association), “il tasso di innovazione è in discesa. Bisogna contrastare l’abuso della protezione della proprietà intellettuale”. In sostanza l’appunto fatto alle farmaceutiche è quello di investire soldi per modificare di poco medicinali non più sotto brevetto e così chiedere un nuovo “patent”.
Se Farmindustria può essere d’accordo sul meccanismo basato sui generici, che libera risorse per gli investimenti (anche se il margine economico per l’industria proprietaria di un brevetto che scade si riduce fortemente), capisce meno cosa Assogenerici ed Ega intendano per farmaco realmente innovativo. “La ricerca si traduce in innovazione e l’innovazione in brevetto”, commenta Emilio Stefanelli, vicepresidente di Farmindustria: “Dal punto di vista industriale, i farmaci fuori brevetto si sostengono con quelli con patente e questi, a loro volta, con i nuovi che entrano nel mercato. Non si può discutere su fino a che punto i farmaci brevettati siano innovazione, perché se un prodotto è brevettato, vuol dire che gli sta riconoscendo la sua valenza innovativa”.
Dal canto loro, le industrie del generico ribadiscono che “nuovo” non è sinonimo di “innovativo” e chiedono una politica che incentivi i generici: “Per la prima volta, grazie agli equivalenti, la spesa per i farmaci sembra essere sotto controllo e non ha sfondato il tetto massimo consentito del 13 per cento sulla spesa sanitaria totale. Ma occorre un cambio di atteggiamento da parte delle istituzioni, soprattutto delle regioni che hanno potere di legiferare in materia di sanità, oltre che dei medici e dei cittadini”, ha affermato Teruzzi. Secondo Assogenerici serve quindi un piano normativo per regolare la spesa sanitaria regionale, oggi estremamente diversificata, e indirizzare le risorse dei generici su progetti di ricerca italiani. Quelli che almeno dimostrano di apportare una reale innovazione in termini di efficacia terapeutica e sicurezza di impiego.