Alla ricerca della materia perduta

Quando si perde qualcosa, ritrovare ciò che si è smarrito può non essere semplice. Figuriamoci poi come si complicano le cose quando non si sa bene nemmeno cosa si sta cercando. Prendiamo l’Universo per esempio: sappiamo che c’è della materia, quella che forma le galassie con tutto ciò che contengono (buchi neri, quasar, stelle, esseri viventi), ovvero la materia che in fisica viene detta “barionica”. Poi però ci accorgiamo che questa materia, che dovrebbe costituire tutto l’Universo, è troppo poca per spiegare alcuni dei fenomeni che osserviamo, per esempio i moti circolari delle galassie. Sembra che all’appello ne manchi ben il 95 per cento o, per essere più precisi, manca un 25 per cento di materia non barionica e un restante 70 per cento che dovrebbe essere energia. Siccome non abbiamo assolutamente (o quasi) idea di che cosa siano, le chiamiamo materia e energia oscura.

La faccenda in realtà è ancora più imbarazzante: sembra infatti che di questo cinque per cento di materia barionica (l’unica che conosciamo), finora se ne sia trovata solo la metà. A conti fatti quindi abbiamo “visto” appena il 2,5 per cento di tutta la materia dell’Universo. Una cosa però la sappiamo: essa non si trova solo concentrata nelle galassie, ma è diffusa e rarefatta in una struttura filante che gli astronomi chiamano “ragnatela cosmica” (Whim, Warm-Hot Intergalactic Medium). Una nozione che forse può aiutarci a capire meglio, se non altro, dove (e quando) cercare. Tre articoli per fare il punto sullo stato dell’arte della “materia perduta” sono recentemente apparsi su “Science”, e uno di questi porta la firma di un ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica, Fabrizio Nicastro, cui abbiamo chiesto di raccontarci a che punto siamo con la mappa dell’Universo.

Dottor Nicastro, da dove si comincia per venire a capo del paradosso della materia mancante?

“La situazione è questa: del 70 per cento della materia non sappiamo nulla. La chiamiamo energia perché pensiamo possa trattarsi della forza di repulsione che sta facendo espandere l’Universo e che si oppone alla forza di gravità. Abbiamo qualche indiziato per il 25 per cento, che dovrebbe essere materia non barionica. Per il restante cinque per cento – quello di cui mi occupo io – sappiamo cos’è ma non dove si trova. O meglio, riusciamo a vederne una parte nell’Universo più giovane (e quindi più lontano), in questa ragnatela tra le galassie, mentre nell’Universo più vicino –  che corrisponde ai due terzi della sua età – questa materia sembra scomparsa”.

Ma come si è formata la ragnatela intergalattica?

“La nostra teoria cosmologica prevede che, in seguito al Big Bang, la materia abbia cominciato a espandersi in modo non omogeneo, risultando più rarefatta in alcune regioni e più densa in altre. In questi punti, il collasso della materia su stessa, causato dalla gravità, ha portato alla formazione delle galassie, che possiamo immaginare come i nodi di una rete. Quella che in principio era materia diffusa, quindi, ha cominciato ad aggregarsi e a formare una sorta di fiumi che scorrono verso questi centri di attrazione. Quando oggi puntiamo i nostri telescopi verso i quasar delle galassie più lontane, prima di arrivare a noi la luce è intercettata e in parte assorbita da questa ragnatela e, in base alla radiazione che non ci arriva (spettri di assorbimento), possiamo sapere di quanta e quale materia si tratta”.

Insieme ai ricercatori dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e dell’Ohio State University, lei ha eseguito la prima misurazione della materia barionica. Come avete proceduto?

“In questo caso sapevamo dove e quando guardare. Abbiamo sfruttato un momento propizio in cui un blasar, un oggetto supermassivo dell’Universo lontano, ha emesso una grande quantità di fotoni. Dai dati raccolti grazie al telescopio Chandra della Nasa, che osserva nella banda dei raggi X, abbiamo potuto stimare l’esistenza di solo la metà della materia barionica prevista dal modello cosmologico”.

Come vi spiegate la materia mancante?

“Man mano che l’Universo ‘invecchia’ la struttura si fa sempre meno lineare e più complessa, e la materia viene accelerata intorno ai nodi della ragnatela. A una certa velocità, le particelle subiscono quelli che gli astrofisici chiamano shock termici, e si riscaldano. Man mano che la temperatura aumenta, la materia si ionizza (perde gli elettroni): in questo stato gli atomi non interagiscono più con la radiazione (che non viene più assorbita), e la materia scompare dalla nostra  vista. È quindi possibile che non riusciamo a vedere la materia perché troppo calda, ma stabilirlo con esattezza è una questione cruciale per la cosmologia”.

Più della questione dell’energia e della materia oscura?

“Direi alla stessa stregua. Si stanno spendendo energie e gradi quantità di denaro su qualcosa che non è definito neanche nelle nostre teste. Quando parliamo di energia oscura non sapiamo neanche cosa andare a cercare, ma è un argomento misterioso e intrigante, ed è più facile venderlo al pubblico che  paga le tasse (non dimentichiamoci che le agenzie spaziali di tutti i paesi sono governative). Sostanzialmente la tendenza è cercare di immaginare missioni sull’energia oscura, che è più affascinante di disquisizioni tecnicistiche. Ma dal punto di vista scientifico secondo me è più importante impegnarci su ciò che allo stato attuale siamo in grado di studiare. Anche perché, se dovessimo scoprire che ci sbagliamo sulla quantità di materia barionica, tutto quello che crediamo di sapere sull’Universo verrebbe messo in discussione. Una cosa che potrebbe rendere vana anche la ricerca sull’energia oscura”.

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