Il 16 luglio 1969 la base di Capo Kennedy era assediata da migliaia di curiosi e da 3.500 giornalisti, di cui 700 da tutte le parti del mondo, giunti lì per raccontare il primo viaggio dalla Terra alla Luna di un equipaggio umano. Un evento epocale, atteso da otto anni e costato 24 miliardi di dollari e che aveva impegnato, in un modo o nell’altro, 400.000 persone.
Sulla rampa di lancio si trovava, altissimo, il vertiginoso Saturn con a bordo Neil Armstrong, Edwin Aldrin e Michael Collins, in attesa da ore del count down.
In testa, la Columbia (aveva questo nome in omaggio a Cristoforo Colombo), composta di due moduli, quello di comando (5 delle 3000 tonnellate del peso complessivo, l’unica parte della grande macchina che sarebbe tornata sulla Terra) costituito da una cabina tronco-conica con la base di 3,85 m di diametro e l’altezza di 3,45 m. Il modulo di servizio, un cilindro del diametro di 3,85 m e della lunghezza di 7,4 m, conteneva un motore a razzo che avrebbe permesso di entrare e uscire dall’orbita lunare, carburante, apparecchi per la produzione di energia. A poppa c’era il modulo lunare, il LEM – l’Eagle –, che sarebbe sceso sulla Luna, costituito di due parti: quella inferiore avrebbe funzionato da rampa di lancio, quella superiore sarebbe tornata al modulo di comando per farvi rientrare i due astronauti e poi sarebbe stata lasciata cadere sulla Luna per provocare un piccolo terremoto che sarebbe stato registrato da uno strumento lasciato sulla superficie lunare.
Il count down
Dopo ore di attesa, finalmente partì il fatidico count-down e alle 12 e 32 fu scandito l’ordine: “GO!”.
Con un terribile rumore, fumi, bagliori da fine del mondo, il grande razzo si staccò dal suolo, dapprima lentamente poi sempre più veloce, e dopo nove minuti, sganciati i due primi stadi, si avviò a entrare in orbita terrestre a 182 km di altezza. E al secondo giro intorno alla Terra arrivò l’ordine di puntare alla Luna! Il terzo stadio del razzo si accese e dopo pochi secondi l’Apollo 11 era in rotta verso il satellite.
In orbita, a 100 km sopra la Luna
Alle ore 19 e 13 minuti del 19 luglio, l’Apollo, ormai quasi in orbita lunare, scomparve dietro la Luna e le comunicazioni con la base di Houston cessarono di colpo. Per entrare in una vera orbita, gli astronauti dovevano correggere la traiettoria utilizzando i razzi di servizio. Dopo 34 minuti l’Apollo riapparve all’altro bordo lunare e Houston comunicò che si era inserito in un’orbita ellittica compresa tra 113 e 312 km dalla Luna. Più tardi, un nuovo cambio d’orbita. Quella così raggiunta si svolgeva tra 99,5 e 121,5 km dal suolo lunare. Aldrin andò a ispezionare il LEM di cui doveva essere il pilota.
Si arrivò, così, al 20 luglio 1969 con l’Apollo in orbita lunare di parcheggio. A poco più di 100 km c’era la Luna, finora meta irraggiungibile degli uomini di tutti i tempi ma ormai sogno diventato realtà, con tutti quei suoi crateri e le sue montagne viste in tre dimensioni, e quelle enormi distese che sulla Terra sono chiamate “mari”. E qui nella navicella spaziale c’erano tre uomini che potevano vederle così, a due passi, che pareva di poterle toccare con le mani.
Sembra incredibile ma quegli uomini furono capaci, a questo punto, di mettersi a dormire perché al momento decisivo dovevano presentarsi riposati. Durò cinque ore il loro sonno mentre viaggiavano intorno alla Luna e sulla Terra tutti erano in grande agitazione e angustie per ciò che sarebbe potuto capitare. La discesa era abbastanza sicura, ma la partenza dalla Luna? Se il LEM si fosse posato su un terreno troppo accidentato o con un’inclinazione più grande del consentito sarebbe stato inservibile come rampa di lancio e i due astronauti non sarebbero potuti ripartire. Inoltre, qualunque cosa fosse accaduta, la riserva di ossigeno era di 48 ore. Ma i due astronauti riuscirono a dormire!
Quando si svegliarono, fecero colazione e ascoltarono le notizie trasmesse da Houston.
La discesa nel Mare della Tranquillità
Poi arrivò l’ora: Aldrin passò nel LEM e Armstrong lo seguì. Saggiarono la regolarità dell’apertura del sistema di quattro zampe sulle quali si doveva posare il LEM, indossarono le tute che vennero pressurizzate. E poco dopo se ne andarono. Calarono lentamente verso il primo corpo celeste che non sia la Terra. Collins rimase solo, a girargli intorno. La sua solitudine spaziale doveva durare quasi un giorno intero! Come sarebbe stato il suo viaggio di ritorno alla Terra se i suoi compagni fossero rimasti bloccati sulla Luna e avesse dovuto abbandonarli a morire lassù, su un altro mondo?
Ma per ora tutto procedeva bene. Il pilota automatico portava il LEM verso un cratere del Mare della Tranquillità. Con una manovra manuale, l’apparecchio sorvolò le rocce e andò a toccare il suolo in un posto con la giusta pendenza e con la giusta consistenza.
Durante la manovra il cuore di Armstrong raggiunse i 156 battiti al minuto. Ma ecco, infine, a 109 ore e 24 minuti dalla partenza, il messaggio di Armstrong che segnò la fine del viaggio di andata: «Qui Base della Tranquillità. L’Aquila è atterrata».
Il primo uomo sulla Luna
Ora, il LEM – detto, il ragno per quelle sue quattro zampe distese – era lì, fermo, presenza di un’umanità tecnologica nel silenzio irrigidito da milioni di secoli.
Poco dopo, Armstrong aprì lo sportello della cabina e si affacciò su quella terra del cielo così diversa da questa nostra. Ammirò il fantastico paesaggio, scese con circospezione i nove gradini della breve scaletta, e finalmente, dopo un’ultima esitazione, mise il piede sinistro su quello strano suolo di polvere, lasciandovi la prima orma umana dalla creazione del mondo.
Un’orma che, su quel mondo morto, sarebbe rimasta immutata per millenni. In Italia, erano le ore 4,56 minuti e 31 secondi del 21 luglio 1969. Armstrong pronunciò le famose parole: «Per un uomo questo è un piccolo passo avanti, ma per l’umanità è un balzo gigantesco».
A spasso sulla Luna
Armstrong e Aldrin si misero subito al lavoro. Piantarono la bandiera americana, una bandiera rigida che non avrebbe mai sventolato a nessun vento, scoprirono la targa che avevano portato per la memoria futura e lasciarono medaglie con ritratti dei tre astronauti morti il 27 gennaio 1967 durante un’esercitazione a bordo di un modulo di comando Apollo: Virgil Grissom, Edward White e Roger Chaffee, e del collega sovietico Vladimir Komarov, morto il 24 aprile 1967 per un difetto del paracadute di una Soyuz.
Furono messi in collegamento telefonico col presidente Richard Nixon, alla Casa Bianca, che li salutò a nome di tutti gli americani, sistemarono strumenti scientifici da lasciare sulla Luna, scavarono fino a 17 centimetri di profondità, raccolsero 22 kg di rocce e fecero fotografie.
Dopo 2 ore e 32 minuti Armstrong e Aldrin risalirono a bordo dell’Eagle. Dormirono e qualche ora più tardi, nell’assoluto silenzio, ripartirono. La permanenza sul suolo lunare era durata 21 ore e 36 minuti.
Il ritorno
Il decollo fu perfetto e così il “rendez-vous” con il Columbia a 110 km di altezza, eseguito con l’assistenza della base di Houston. E cominciò il viaggio di ritorno: 60 ore per tornare a casa. A imprimere l’accelerazione necessaria al veicolo fu il modulo di servizio, che sarebbe stato abbandonato al rientro nell’atmosfera terrestre.
L’ultima sfida: il rientro sulla Terra
L’operazione di rientro è quella decisiva. La direzione di entrata è molto critica. Un errore di poco più di un grado potrebbe far finire la capsula su un’orbita imprevedibile o farla entrare nell’atmosfera in modo da subire un attrito, e quindi una temperatura, insopportabile anche per gli scudi termici. Data la velocità (40.000 km/ora), è comunque raggiunta la temperatura di 2800 °C. Bisogna girare il modulo di comando su se stesso perché presenti all’atmosfera la parte con lo scudo termico principale, regolare i razzi attitudinali, aprire, al momento giusto, i tre grandi paracadute per diminuire la velocità di caduta. Questo era lavoro per Collins.
E finalmente, la navicella si tuffò nel mare delle Hawaii, a 14 chilometri dalla portaerei Hornet che la stava aspettando. La grande avventura che aveva tenuto l’umanità col fiato sospeso era finita. La missione dell’Apollo 11 dalla Terra alla Luna e ritorno era durata 8 giorni, 3 ore e 18 minuti.
- L’antefatto: Dodici anni di corsa: la gara tra sovietici e americani
- Amarcord: Quando conquistammo la Luna, quel 21 luglio del ’69