La doppia, strana natura della luce

Di cosa è fatta la luce? È una domanda semplice, che però nasconde una serie di implicazioni scientifiche molto complesse. La risposta viene dalla meccanica quantistica, la branca della fisica che studia il comportamento di oggetti microscopici come fotoni ed elettroni, ormai consolidata da più di un secolo, che per certi versi è assolutamente contro-intuitiva.  Per esempio, predice che una particella come il fotone possa trovarsi in diverse (o addirittura infinite) posizioni nello stesso istante, esattamente come se fosse un’onda. Com’è possibile? La risposta sta nella cosiddetta dualità onda-particella, secondo la quale ogni oggetto quantistico è contemporaneamente un’onda e una particella. 

A fare un po’ di chiarezza su questo mistero, uno dei più intricati e affascinanti della fisica, è stato un gruppo di ricercatori dell’ Università di Bristol, diretti dall’italiano Alberto Peruzzo: gli scienziati hanno realizzato un esperimento in grado di misurare simultaneamente il comportamento ondulatorio e particellare del fotone. Lo studio, pubblicato sulla rivista Science, non è dei più semplici: vi si legge di non-localitàentanglement e beam splitter quantistici. È proprio Peruzzo a spiegare ai lettori di Wired.it di cosa si tratta. 

Dottor Peruzzo, cominciamo dall’inizio. Cosa si intende per dualità onda-particella?

“Questo è uno degli aspetti più maledettamente contro-intuitivi della meccanica quantistica. L’idea è che le particelle microscopiche come fotoni ed elettroni, a differenza degli oggetti macroscopici cui siamo abituati, siano contemporaneamente onde e particelle. Mi spiego meglio. Supponiamo che un fotone urti contro una sorta di ostacolo (quello che noi chiamiamo beam splitter, cioè un oggetto che divide in due un fascio di luce) e possa quindi seguire due percorsi diversi a seconda dell’urto: se è una particella, verrà rivelata soltanto in una delle due possibili posizioni finali; se, al contrario, è un’onda, ne dovremmo misurare il 50% dell’intensità da una parte e il 50 % dall’altra. Quello che realmente succede, invece, è che si vedono entrambi gli effetti. In particolare, si sente il clic a una delle due uscite dei percorsi, proprio come se il fotone fosse una particella; però, se il circuito viene chiuso, cioè i due percorsi diversi vengono dirottati su un’uscita comune, si osserva la cosiddetta interferenza, un fenomeno caratteristico delle onde. Tutto questo indica che il fotone è sia l’una che l’altra cosa. E non è tutto. Il fotone è restio a manifestare simultaneamente questa sua doppia natura: è come se sappia in anticipo a quale tipo di esperimento va incontro (quelli che abbiamo chiamato percorsi diversi o circuito chiuso) e in base a questo scelga che tipo di comportamento esibire. In pratica, la natura del fotone è sensibile al cambiamento dell’esperimento, cioè al nostro modo di osservarlo. La nostra misura certifica che il fotone si comporta simultaneamente come onda e particella”. 

Nel vostro studio fate riferimento alle cosiddette particelle entangled. Di cosa si tratta?

“Sono due particelle quantistiche correlate, cioè strettamente legate tra loro. Tutti gli oggetti quantistici possono essere singolarmente in una sovrapposizione, o miscela, di stati diversi, e collassano, come si dice in gergo, su uno degli stati, quando vengono osservati. Supponiamo per semplicità che siano possibili due stati, zero e uno. Se si creano due particelle, una diretta a destra e una a sinistra, ad esempio, si ottiene uno stato entangled: in qualsiasi momento si misura una delle due, rivelandone lo stato, istantaneamente e simultaneamente si modifica anche la seconda. Ricapitolando: all’inizio la prima particella è in una miscela indistinta degli stati zero e uno; nel momento in cui la si misura, entrambe le particelle collassano, una sullo stato zero e l’altra sullo stato uno. È un altro aspetto assolutamente contro-intuitivo della meccanica quantistica: particelle arbitrariamente lontane tra loro che però sono intrinsecamente collegate; osservandone una, so tutto anche dell’altra”. 

In cosa consiste il vostro esperimento?

“Abbiamo ripreso un’idea del 1978 di John Wheeler, che proponeva un test per capire se il fotonesapesse in anticipo a che tipo di esperimento sarebbe stato sottoposto, e quindi potesse decidere che tipo di comportamento esibire. È quello di cui parlavo prima: se si vuole rivelare la natura ondulatoria, bisogna preparare un percorso chiuso (il cosiddetto interferometro); al contrario, per mostrarne la natura particellare, il percorso deve restare aperto e bisogna osservare il punto in cui va a finire. Wheeler aveva proposto di ritardare la chiusura del circuito (delayed choice) a quando il fotone lo sta già percorrendo, in modo tale da capire se la sua decisione di essere onda o particella sia stata già presa o no, indipendentemente dalla conoscenza del percorso. Noi abbiamo ulteriormente ritardato questo momento, e la decisione di chiusura o apertura del circuito non dipende più dalla volontà dello sperimentatore, ma è a sua volta presa da un’altra particela quantistica in uno stato entangled rispetto al fotone che stiamo studiando, detto di sistema. In questo modo, possiamo aspettare un tempo arbitrario che questo si comporti come onda o particella: per controllare cosa è successo ci basta misurare il fotone entangled che ha regolato l’apertura o la chiusura del circuito. In sostanza, siamo riusciti a misurare la dualità onda-particella usando un unico setup sperimentale e due particelle. Un bel risultato, se si tiene conto che persino Bohr era convinto che non fosse possibile un esperimento del genere utilizzando un solo apparato sperimentale. Noi ci siamo riusciti, sfruttando il principio dell’entanglement per eseguire la misura”.

Via: Wired.it
 
Credits immagine: Alberto Peruzzo, Peter Shadbolt, Nicolas Brunner, e Jamie Simmonds    

2 Commenti

  1. la ricerca della fisica di base, da un secolo fa come i preti: risolve problemi che prima ha creato. Se tornassimo all’idea che la luce sia un onda tutti questi problemi non hanno bisogno di alcuna soluzione. Il “fotone” non può esistere. Ve le immaginate una particella che viaggia per 13 miliardi di anni per poi colpire la nostra retina alla velocità della luce. Povero nostro occhio 🙁

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