Che i pesticidi facessero male alla salute e causassero diverse malattie neurologiche tra cui il morbo di Parkinson era già noto. Ciò che non era chiaro era il meccanismo molecolare che porta alla degenerazione delle cellule cerebrali. Ora in uno studio dell’Università della California di Los Angeles (Ucla), pubblicato su Neurology, i ricercatori dimostrano che molti pesticidi agiscono inibendo l’attività di un enzima presente nei neuroni, chiamato aldeide deidrogenasi (Aldh), responsabile del metabolismo delle sostanze nocive, e che avere la variante meno comune di questa proteina, Aldh2, aumenta ulteriormente la suscettibilità a sviluppare la malattia.
Lo studio effettuato presso il Dipartimento di Neurologia dell’Ucla si basa su risultati precedenti pubblicati lo scorso anno, in cui Jeff Bronstein e i suoi collaboratori avevano dimostrato che esiste una correlazione tra l’esposizione a certi pesticidi e il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson. In quel caso si era trattato di un fungicida, il benomil, il cui uso è stato vietato ormai da diversi anni. Il benomil induceva danni ai neuroni dopaminergici tramite l’inibizione dell’attività dell’enzima Aldh, causando un aumento dei livelli di una tossina normalmente presente nel cervello (Dopal) che era responsabile dei danni neurologici e dei sintomi tipici del Parkinson.
Grazie alla messa a punto di un test che permette di misurare il livello di inibizione dell’attività enzimatica di Aldh in cellule neuronali in vitro, i ricercatori hanno monitorato l’effetto di altri 26 pesticidi attualmente usati in agricoltura. Di questi, undici composti appartenenti alle quattro classi più comuni – organoclorurati, imidazoli, ditiocarbammati e dicarbossimidi – riducevano l’attività di Aldh in maniera significativa con un effetto che andava dall’8 al 30% di inibizione rispetto alle cellule non trattate.
Per valutare se l’esposizione a questi pesticidi influenzasse il rischio di sviluppare il Parkinson, i ricercatori hanno condotto uno studio clinico che ha coinvolto 360 persone affette dalla malattia reclutati dal Parkinson’s Environment and Genes Study (PEG, uno studio di interazione tra fattori ambientali e genetici) e 816 individui sani, tutti residenti in tre contee rurali della California (Fresno, Tulare, Kern).
I soggetti dovevano fare un colloquio telefonico per fornire dati anagrafici, come età, sesso e livello di educazione, fattori di rischio, ossia storia familiare della malattia e quantità di sigarette fumate, e indirizzi residenziali e lavorativi. L’esposizione ai pesticidi di ciascun individuo era stimata usando un modello al computer basato su un sistema di informazione geografica che includeva i dati ottenuti dal Pesticide Use Reporting, sulla regolamentazione dell’uso e della quantità dei pesticidi fornito dal California Department of Pesticide Regulation.
I risultati hanno dimostrato che essere esposti ai pesticidi esaminati, seppure in concentrazioni relativamente basse, sia a casa che al lavoro era associato a un maggiore rischio di sviluppare il morbo di Parkinson, con un aumento che variava da circa 2 volte, nel caso del benomil, a 6 volte, nel caso del Dieldrin, un insetticida organoclorurato della stessa famiglia del Ddt. Inoltre, più alto era il livello di esposizione, maggiore era il rischio, e se si era esposti a più di tre pesticidi questo rischio aumentava di oltre 3,5 volte rispetto a soggetti non esposti.
Infine, gli individui che esprimevano la variante Aldh2 dell’aldeide deidrogenasi, di per sé non associata allo sviluppo della malattia, erano più suscettibili all’effetto neurodegenerativo dei pesticidi e presentavano un’ulteriore esacerbazione del rischio di Parkinson rispetto a quelli con la variante normale dell’enzima.
“È stata una sorpresa trovare così tanti tipi di pesticidi che inibiscono l’attività dell’enzima Aldh anche a concentrazioni basse”, spiega Bronstein. “Questi pesticidi sono molto diffusi nell’ambiente e si trovano anche nei cibi, per cui il numero di persone potenzialmente a rischio è notevolmente più alto di quanto ci si aspettava”.
L’inibizione dell’attività dell’Aldh correla in maniera significativa con l’effetto neurodegenerativo di questi composti e suggerisce un potenziale meccanismo molecolare per la patogenesi del Parkinson. “Capire come i pesticidi agiscono sull’Aldh”, conclude l’autore, “potrebbe portare allo sviluppo di nuovi metodi per prevenire o limitare la progressione della malattia, come ad esempio ridurre l’esposizione ai composti tossici o stimolare la funzionalità dell’enzima mediante nuovi farmaci”.
Riferimenti: Neurology doi: 10.1212/WNL.0000000000000083
Credits immagine: Grey cells/Flickr