I pregiudizi di genere, purtroppo, sono duri a morire. In Europa ad esempio, la percentuale di donne laureate ha superato quella degli uomini già dal 2010, ma ancora oggi solo il 33% dei ricercatori del continente è di sesso femminile (ve ne abbiamo parlato in questo articolo). Per comprendere come mai le donne hanno ancora così poco spazio nel campo della scienza, un gruppo di ricercatori della Columbia University, della Northwest University e della University of Chicago ha analizzato il ruolo che svolgono gli stereotipi di genere nella scelta di un dipendente da assumere per una mansione scientifica. I risultati dello studio, pubblicati su Pnas, dimostrando che i datori di lavoro, indipendentemente dal loro sesso, tendono a preferire i candidati di sesso maschile, anche quando le informazioni a disposizione suggerirebbero una scelta differente.
Lo studio nasce in risposta ad un controverso discorso tenuto nel 2005 dal rettore della Harvard University, che affrontando il tema delle disparità (presenti anche in America) tra il numero di donne che si laureano in materie scientifiche e quante trovano poi effettivamente impiego nella ricerca, proponeva tre possibili spiegazioni: che gli uomini possiedano più facilmente le capacità necessarie per lavorare ai livelli più alti della ricerca; che le donne preferiscano scegliere altri tipi di carriera; e infine, solo come ultima ipotesi, l’esistenza di discriminazioni legate al sesso.
Se le evidenze scientifiche disponibili smentiscono facilmente l’esistenza di differenze nella predisposizione alla ricerca tra i due sessi, l’effettiva presenza di discriminazioni è invece più difficile da dimostrare. Per farlo, i ricercatori hanno ideato un esperimento in cui i partecipanti erano chiamati a turno a scegliere tra due candidati chi assumere per svolgere alcune operazioni matematiche, guadagnando dei soldi se queste venivano poi eseguite correttamente. La prova è stata quindi ripetuta variando la quantità di informazioni sulle capacità dei candidati a disposizione dei datori di lavoro, e i risultati sono stati poi analizzati per verificare la presenza di pregiudizi di genere.
Quando i datori di lavoro dovevano effettuare la loro scelta basandosi unicamente sull’aspetto dei candidati, la probabilità che venisse scelto un maschio (indipendentemente dal sesso del datore di lavoro) è risultata due volte più alta rispetto a quella che venisse scelta una donna. Lasciando invece che fossero i candidati a descrivere le proprie capacità matematiche, gli uomini hanno mostrato la tendenza a riportarle in maniera esagerata, portando anche in questo caso ad una maggiore probabilità che fossero scelti loro rispetto ad un candidato di sesso femminile. Persino quando i datori di lavoro hanno ricevuto informazioni precise sui risultati conseguiti in precedenza dai candidati (quanto spesso avevano risolto correttamente le operazioni), le discriminazioni sono diminuite, ma non sparite del tutto.
Secondo i ricercatori, i risultati dimostrerebbero dunque l’esistenza di forti pregiudizi di genere nei confronti delle capacità scientifiche delle donne, sia da parte del sesso maschile che di quello femminile. Gli uomini inoltre sembrerebbero portati a promuovere maggiormente le proprie capacità quando si trovano ad affrontare un colloquio di lavoro, un fatto che i datori di lavoro (anche qui, indipendentemente dal loro sesso) tenderebbero a non prendere adeguatamente in considerazione, persino di fronte a dati oggettivi sulle reali capacità dei candidati.
Riferimenti: Pnas doi: 10.1073/pnas.1314788111
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