Quel 24 luglio 1969 il cerchio si chiudeva. Ad aprirlo era stato sette anni prima l’allora presidente degli Stati uniti d’America, John F. Kennedy, quando alla Rice University proclamò il discorso. Quello col quale prometteva al suo popolo la Luna.“Abbiamo deciso di andare sulla Luna. Abbiamo deciso di andare sulla Luna in questo decennio e di impegnarci anche in altre imprese, non perché sono semplici, ma perché sono ardite, perché questo obiettivo ci permetterà di organizzare e di mettere alla prova il meglio delle nostre energie e delle nostre capacità, perché accettiamo di buon grado questa sfida, non abbiamo intenzione di rimandarla e siamo determinati a vincerla, insieme a tutte le altre”.
Ma forse, ancor prima che Kennedy (che morto da anni nel ’69 non ebbe modo di veder mantenuta la sua promessa) pronunciasse quel discorso, il cerchio si era aperto nel 1958, quando i russi erano riusciti a spedire nello Spazio lo Sputnik, dando così il via ufficialmente alla corsa allo Spazio. Gli Usa erano stati a guardare ancora nel 1961, quando Jurij Alekseevič Gagarin diventava il primo uomo in orbita. Con Kennedy però l’America diceva basta.
Quel 24 luglio 1969 il cerchio si chiudeva perché l’equipaggio dell’Apollo 11 della Nasa (Neil A. Armstrong, Michael Collins e Edwin “Buzz” Aldrin) ammarava nell’Oceano Pacifico, riportando a casa la più grande delle imprese scientifiche e tecnologiche del secolo: quattro giorni prima, il 20 luglio 1969, prima Armstrong, poi Aldrin, erano scesi dal modulo lunare Eagle, diventando i primi uomini a solcare la superficie lunare, davanti ad oltre mezzo miliardo di persone incollate alla televisione.
Il resto è storia (e a proposito, per ripassarla Space.com ve la propone sotto forma quiz). Storiche furono la frase pronunciata da Armostrong (da cui, ironizzando sarebbe poi nata quella di Charles Conrad, il terzo uomo a sbarcare sulla Luna con l’Apollo 12: “Sarà stato un piccolo passo per Neil ma per me è lungo abbastanza”, giocando sulla sua bassa statura); la “magnifica desolazione” descritta da Aldrin; la raccolta dei campioni, la posa della bandiera (su cui si scatenano i complottisti che negano lo sbarco lunare) e della placca commemorativa su una zampadell’Eagle.
Meno noto è quel che facevano gli abitanti della Terra mentre Armostrong e Aldrin conquistavano la Luna (sebbene siti come wherewereyou.com negli anni abbiano provato a tamponarequeste lacune). Per questo in occasione dell’anniversario, quest’anno Buzz Aldrin ha chiesto a tutti di condividere sul web (da YouTube, a Twitter, Facebook, Google+ e Instagram) i ricordi (o quelli della propria famiglia) dell’atterraggio dell’Apollo 11 sullaLuna, con la campagna #Apollo45. Ma anche solo per raccontare come lo sbarco lunare sia stato d’ispirazione per ciascuno. Perché? Semplice per Aldrin: “Sento che dobbiamo ricordare al mondo le missioni Apollo e che possiamo ancora fare cose impossibili”. E poi certamente per riprendersi un pezzo di storia mancante, ha scherzato l’astronauta: “Il mondo intero ha celebrato il nostro sbarco sulla Luna, ma noi ce lo siamo perso perché eravamo fuori città”.
Via: Wired.it
Credits immagine: Nasa