“Non possiamo più dire di non sapere nulla sulle cause della sclerosi multipla. Certo ci sono ancora molte cose da capire, ma i risultati della ricerca genetica da una parte e di quella epigenetica dall’altra ci consentono di avere un quadro chiaro dei fattori che influiscono su questa malattia”. Parola di David Hafler, della Yale School of Medicine, uno dei principali ricercatori nel campo di questa patologia autoimmune, chiamato oggi ad aprire il congresso congiunto delle società scientifiche europea e americana di sclerosi multipla, Actrims ed Ectrims, a Boston.
Hafler è stato uno dei promotori dell’International MS Genetic Consortium, il progetto internazionale che sta individuando e mappando tutti i geni coinvolti in questa malattia che causa la perdita di mielina, la guaina che riveste gli assoni, le vie di comunicazione fra i neuroni, provocando così una perdita progressiva di abilità cognitive e motorie. Il progetto ha portato nel corso degli ultimi anni all’individuazione di decine di mutazioni, e le ultime 45 di questa lunga serie verranno presentate proprio durante il congresso di Boston da Philip De Jager dell’Harvard Medical School.
“La componente genetica del rischio di sviluppare la malattia era chiara guardando le statistiche dei gemelli: quelli omozigoti hanno in media una probabilità del 30% di sviluppare tutti la malattia”, ha sottolineato Hafler. “E ora che ne abbiamo individuati un buon numero dobbiamo capire in che modo comunicano con l’ambiente, anche perché la maggior parte di questi geni non codifica, è silente. Non ci sono buoni o cattivi geni, c’è una corretta o malfunzionante comunicazione dei geni con l’ambiente”. Per capire in che modo ciò accada, e per passare in qualche modo dalla genetica alla biologia, il team di Hafler ha elaborato una nuova tecnica finanziata dai National Institute of Health. “A breve pubblicheremo su Nature il risultato di questo studio che mette in luce diverse molecole e fattori di trascrizione implicati nello sviluppo della sclerosi multipla, come l’NfkB, così come di altre 20 malattie autoimmuni”. Un lavoro che potrebbe portare all’individuazione di nuovi target terapeutici.
Come detto i geni sono solo una parte della storia. Studi recenti hanno svelato infatti come l’ambiente e le abitudini di vita influenzino la suscettibilità di sviluppare sclerosi multipla. Il gruppo di Hafler ha visto che nelle persone che mangiano spesso nei fast food la produzione di cellule T, le cellule del sistema immunitario implicate nella sclerosi multipla, è aumentata. A livello cellulare, infatti, il sale aumenta la produzione di citochine infiammatorie, le molecole che alimentano l’infiammazione, una delle componenti della malattia. Gli studi sono andati avanti e Hafler ha dimostrato che una dieta ricca di sale aumenta l’attività di malattia. E ora si appresta a iniziare un piccolo trial clinico per capire sui pazienti il valore modulatore di una dieta povera di sale.
“Un esempio di come la ricerca di base stia progredendo per individuare le cause della sclerosi multipla, per mettere a punto modelli di malattia sempre più precisi, per capire dal punto di vista genetico quali siano gli effetti delle terapie”, ha concluso Hafler. “Ci sono cose che ancora non sappiamo? Molte, purtroppo. Ma la strada che abbiamo intrapreso è sicuramente quella giusta”.