Problemi per le comunicazioni, qualche timore per gli astronauti ma anche splendide aurore polari. Queste sono state le conseguenze di un picco di attività del Sole. Da giovedì a domenica scorsi, infatti, la nostra stella, ha rilasciato nello Spazio una grande quantità di radiazioni e anche una parte della propria atmosfera esterna, producendo quella che si chiama “espulsione di massa coronale”. Si tratta di fenomeni diversi in grado di produrre conseguenze diverse.
A Terra, vista la grande potenza della tempesta, è stato possibile osservare le aurore anche a latitudini molto più basse rispetto al solito. Negli Stati Uniti, per esempio, è stato notato fino ad Iowa ed Alabama, regioni centro meridionali degli Usa.
Le esplosioni di radiazioni e materia solare, tecnicamente, vengono chiamate “flare”. Essendo di natura diversa, posseggono anche velocità diverse: le prime viaggiano alla velocità della luce e impattano principalmente i sistemi di comunicazione mentre la seconda, più lenta e costituita da particelle, soprattutto protoni e neutroni, interagisce con il campo magnetico terrestre. Il fenomeno è stato classificato come “severo” dallo Space weather prediction center dell’americano Noaa (National oceanic and atmospheric administration), dal momento che gli è stato attribuito un valore di quattro (G4) su una scala di cinque. La tempesta solare che ci ha coinvolto negli ultimi giorni ha avuto origine da tre flare diversi aventi origine dalla stessa regione del Sole, chiamata 12371. L’episodio è iniziato il 18 giugno per concludersi il 21.
Lo studio di questi fenomeni è molto importante per la sicurezza non solo dei satelliti e dei mezzi di comunicazione ma anche degli astronauti e degli equipaggi di velivoli atmosferici che viaggiano a quote molto alte, sopra i 9000 metri, specialmente su rotte polari. In queste zone la protezione dell’atmosfera vale circa la metà di quanto accade volando intorno all’equatore. Per gli astronauti, dal momento che si trovano al di fuori dell’atmosfera, il problema è particolarmente rilevante: in assenza dell’ombrello protettivo dell’atmosfera potrebbe essere esposti a quantità considerevoli di radiazioni. In occasione delle tempeste solari, quindi, vengono cancellate tutte le “passeggiate spaziali” che li costringerebbero a passare molte ore al di fuori, per esempio, della Stazione spaziale internazionale.
Quest’avamposto umano nello spazio, tuttavia, rappresenta anche un punto di osservazione privilegiato per ammirare dall’alto il fenomeno delle aurore polari. Si tratta della manifestazione ottica dell’interazione tra le particelle cariche espulse dal Sole e il campo magnetico terrestre. Scott Kelly, astronauta della Nasa protagonista della missione One Year in Space, dalla quota di 400 km è riuscito a catturare una foto di una rara aurora rossa. L’immagine, pubblicata anche attraverso i canali social, ha avuto un immediato successo con decine di migliaia di apprezzamenti e condivisioni.
Riferimenti: Noaa
Credits immagine: via International Space Station