L’ipertensione è sul banco degli imputati anche per il declino delle funzioni cognitive nelle persone anziane. È chiaro il messaggio che arriva dal Congresso della European Society of Cardiology, che si è concluso ieri a Roma: l’ipertensione arteriosa, uno dei più comuni fattori di rischio cardiovascolare, può interferire con il buon funzionamento del cervello, per cui è necessario tenere sotto controllo la pressione anche per proteggere le funzioni cognitive. A dimostrarlo è stata una ricerca canadese presentata proprio all’ESC 2016.
“Nonostante diversi studi abbiano cercato di analizzare l’impatto della pressione alta sulle funzioni cognitive – ha spiegato Francesco Romeo, Direttore Cardiologia Policlinico Tor Vergata di Roma e presidente Sic (Società Italiana di Cardiologia) – la maggior parte ha confrontato i pazienti non trattati con quelli in terapia mentre sono più scarse le ricerche che hanno messo in relazione soggetti in terapia con i normotesi”.
Il nuovo studio ha preso in esame 48 adulti di età compresa tra 65 e 85 anni, divisi poi in due gruppi: 26 normotesi e 22 con ipertensione controllata da farmaci. Ogni partecipante si è sottoposto a una valutazione neuropsicologica per determinare i livelli di memoria, attenzione, linguaggio e funzioni esecutive, insieme a un monitoraggio pressorio delle 24 ore e ad analisi del sangue.
I test hanno evidenziato che i pazienti in trattamento avevano performance peggiori rispetto a quelli del gruppo con pressione nella norma. In particolare, è emersa una differenza significativa nei tempi di risposta al Color Word Interference Test (Cwit) che consiste nel dire il nome del colore in cui è scritta una parola. Nel test, tuttavia, le parole sono dei nomi di colori, quindi per i soggetti il compito è più difficile: ad esempio, se c’è la parola “giallo” scritta in rosso, la risposta giusta è rosso. La difficoltà nasce dal fatto che la parola “giallo” interferisce con il nome del colore da pronunciare.
In psicologia sperimentale questo viene chiamato “effetto Stroop”. È stata evidenziata anche una correlazione positiva tra valori pressori di 135mmHG e i risultati del Trail Making Test parte B, un test neuropsicologico che valuta il modo di procedere in compiti di ricerca visiva e spaziale, indagando le capacità di attenzione del soggetto e la sua abilità nel passare da uno stimolo di tipo numerico a uno alfabetico. Il compito del soggetto consiste nell’unire con una linea lettere e numeri disposti in modo casuale su un foglio in una sequenza definita (1, A, 2, B,3, C ecc.). La performance si misura tenendo conto del tempo impiegato per completare il test.
“Il gruppo di ricercatori canadesi ha quindi preso atto che una pressione sistolica maggiore di 135 mmHg è un fattore di rischio per le prestazioni cognitive – ha spiegato Michele Gulizia, Direttore Cardiologia Ospedale Garibaldi di Catania – rinforzando l’ipotesi che l’ipertensione debba essere attentamente monitorata e controllata per proteggere anche il cervello”. Si tratta di un problema non di poco conto visto che solo nel nostro paese si stima che gli ipertesi siano circa 15 milioni. “La correlazione con la funzione cerebrale risiede nel fatto che nonostante esistano terapie efficaci – ha spiegato Leonardo Bolognese, Direttore Cardiologia ospedale di Arezzo – solo 1 paziente su 4 riceve un trattamento adeguato e controlla i valori efficacemente”. Secondo Bolognese, infatti, la mancata adesione alle terapie costituisce un grosso problema in questo caso: “Molti soggetti non assumono la terapia in modo corretto, altri non la assumono affatto, il che spiega come alcuni casi definiti ‘resistenti’ dipendono invece da problemi di aderenza”.