(Inaf) – Il centro della nostra galassia è oggi un luogo tranquillo dove un buco nero supermassiccio riposa inerte, standosene perlopiù quieto e mandando giusto giù, di tanto in tanto, qualche piccolo sorso d’idrogeno allo stato gassoso. Ma non è stato sempre così. Uno studio in uscita su The Astrophysical Journal dimostra che sei milioni di anni fa – l’epoca in cui gli antenati della specie umana muovevano i loro primi passi sulla Terra – il cuore della Via Lattea divampò con violenza. Una fase d’attività intensa della quale si sono trovate le prove cercando la massa mancante della nostra galassia.
I dati a nostra disposizione ci dicono che la Via Lattea ha una massa pari a circa 1 o 2 mila miliardi di volte quella del Sole. Oltre l’ottanta per cento è dovuta all’invisibile e misteriosa materia oscura. Quello che resta, dunque circa un sesto della massa della nostra galassia – l’equivalente di 150-300 miliardi di masse solari – è invece materia “normale”. Tuttavia, se proviamo a mettere sul piatto la materia visibile di tutte le stelle, i gas e le polveri che conosciamo, arriviamo a circa 65 miliardi di masse solari soltanto. Il resto della materia normale – dunque cose fatte di neutroni, protoni ed elettroni – non risponde all’appello: è l’enigma della massa mancante.
“Come in una sorta di nascondino su scala cosmica, ci siamo chiesti dove potrebbe celarsi, questa massa mancante”, spiega il primo autore dello studio, Fabrizio Nicastro, ricercatore presso l’Osservatorio astronomico di Roma, dell’INAF, e lo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA), negli Stati Uniti. “Cercando nell’archivio delle osservazioni a raggi X effettuate con il telescopio spaziale XMM-Newton, abbiamo così scoperto che la massa mancante si nasconde sotto le spoglie d’una nebbia gassosa – la cui temperatura s’aggira attorno al milione di gradi – che permea la nostra galassia. Una nebbia capace di assorbire la radiazione X proveniente dalle sorgenti più lontane, quelle sullo sfondo”.
Ed è proprio misurando la quantità di radiazione assorbita che gli astronomi sono riusciti a calcolare quant’è, e com’è distribuita, la materia normale presente. “Confrontando modelli computazionali propri della distribuzione di materia soggetta a campi di forza gravitazionali in assenza di perturbazioni esterne con i dati reali, quelli raccolti dalle osservazioni, ci siamo accorti che non c’era corrispondenza”, dice Francesca Senatore, coautrice dello studio e dottoranda dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata in servizio presso l’Osservatorio astronomico di Roma dell’INAF. Al contrario, gli astronomi hanno scoperto l’esistenza d’una sorta di “bolla” che, dal centro della nostra galassia, si estende in tutte le direzioni per due terzi della distanza fra il centro galattico e la Terra.
Far spazio a una bolla così grande deve aver richiesto una quantità d’energia enorme. Energia, suggeriscono gli autori dello studio, prodotta proprio dal buco nero intento a nutrirsi. Ingurgitando una parte del gas circostante, ne avrebbe pompato fuori altro alla velocità di mille chilometri al secondo – attorno ai 3 milioni e 600 mila km/h, dunque. Sei milioni di anni più tardi, l’onda d’urto prodotta durante quella fase d’intensa attività ha attraversato uno spazio corrispondente a 20 mila anni luce. Nel frattempo il buco nero, esaurite le scorte di cibo, è entrato in letargo.
Una ricostruzione cronologica, questa, confermata dalla presenza, nei pressi del centro galattico, di stelle con un’età di 6 milioni di anni. Stelle che hanno preso forma da parte di quella stessa materia che all’epoca precipitava verso il buco nero.
“Tutti gli indizi che abbiamo sembrano convergere alla perfezione”, osserva Nicastro. “La fase di attività dev’essere durata fra i 4 e gli 8 milioni di anni, un periodo ragionevole per un quasar”.
Le osservazioni e i relativi modelli al computer mostrano, inoltre, che quel gas bollente – un milione di gradi – può rappresentare e render conto d’una quantità di materia equivalente fino a 130 miliardi di masse solari. Potrebbe dunque essere la risposta all’enigma della massa mancante: era lì, ma era troppo calda per essere vista.
Ulteriori risposte potranno arrivare in futuro dall’osservatorio spaziale per raggi X Athena, dell’Agenzia Spaziale Europea, il cui lancio è previsto per il 2028, con il quale sarà possibile sia ricostruire un’accurata mappa della bolla osservando sorgenti più deboli, sia cogliere dettagli più piccoli, così da dipanare ulteriormente il mistero della massa mancante. Altrettanto promette di fare la missione spaziale di prossima generazione X-ray Surveyor.