Sclerosi multipla: in Italia inizia il primo studio clinico con le cellule staminali neurali

Per la prima volta in tutto il mondo, prende il via uno studio clinico unico nel suo genere: un paziente con sclerosi multipla cronica in stadio avanzato è stato trattato con una terapia a base di cellule staminali neurali (Stems). È successo presso l’unità operativa di Neurologia dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, ed è il frutto di oltre 10 anni di ricerca del team di ricercatori coordinato da Gianvito Martino, direttore scientifico dell’ospedale San Raffaele e capo Unità di ricerca in neuroimmunologia, e del Centro sclerosi multipla, diretto da Giancarlo Comi, primario e direttore dell’Istituto di neurologia sperimentale.

La terapia Stems consiste in un’infusione di cellule staminali neurali, cellule progenitrici in grado di specializzarsi in tutti i tipi di cellule nervose, attraverso una puntura lombare che le immette direttamente nel liquido cerebrospinale. Da qui, le cellule staminali, di origine fetale e preparate grazie alla collaborazione con il Laboratorio di terapia cellulare Stefano Verri, sostenuto della Fondazione Matilde Tettamanti e Menotti De Marchi Onlus, possono raggiungere il cervello e il midollo spinale, ovvero i luoghi deputati allo svolgimento della loro azione. Dopo l’infusione i pazienti saranno tenuti sotto osservazione in ambito ospedaliero per un periodo di tempo limitato, dopodiché potranno tornare a casa, continuando a essere seguiti per i primi 2 anni e, poi, in modo continuativo negli anni successivi.

“È importante ricordare che l’obiettivo dello studio clinico, trattandosi del primo del suo genere, è testare sicurezza e tollerabilità del trattamento, non la sua efficacia.Per questo coinvolge pochi pazienti accuratamente selezionati”, spiega Martino. “Si tratta di un traguardo fondamentale per i pazienti e per le loro famiglie, che hanno sostenuto la ricerca in tutti questi anni con pazienza e speranza. Non saremmo arrivati fin qui senza il loro supporto”.

Le basi scientifiche per lo studio clinico sono il frutto di una serie di studi pubblicati tra il 2003 e il 2006 su importanti riviste internazionali, come Nature e Nature Reviews. Le ricerche hanno dimostrato l’efficacia del trapianto di cellule staminali neurali nei topi affetti da una malattia (l’encefalomielite sperimentale autoimmune, o Eae) che ha caratteristiche simili alla sclerosi multipla, come l’attivazione di uno stato infiammatorio nel cervello e nel midollo spinale, il deterioramento della mielina e il danneggiamento dei nervi. E già dai risultati dello studio del 2003, nei topi trattati con l’infusione di cellule staminali neurali, si osservarono una parziale ricostruzione della guaina mielinica e la riduzione dello stato infiammatorio. Gli studi successivi hanno, invece, evidenziato come le cellule staminali trapiantate fossero in grado di raggiungere le aree di tessuto danneggiate dalla malattia in modo autonomo, rigenerando i tessuti colpiti dalla malattia.

“Le cellule staminali sono in grado di agire in senso terapeutico in modi diversi a seconda delle aree in cui vanno a operare e a seconda del tipo di danno che incontrano. Sono cioè capaci di orchestrare un’attività terapeutica sofisticata e su misura, guidata dai segnali biochimici che il tessuto danneggiato invia loro”, spiega Martino.

Inoltre, nel caso dell’Eae, il team di ricercatori ha dimostrato che le staminali mettono in campo in particolare due azioni distinte: da un lato rimangono indifferenziate e secernono sostanze neuroprotettive capaci di ridimensionare il danno operato dal sistema immunitario e di proteggere direttamente i tessuti danneggiati; dall’altro sono in grado, seppur in minima parte, di differenziarsi in cellule che producono nuova mielina che va a sostituirsi a quella danneggiata.

“Questo primo trapianto con cellule staminali neuronali costituisce un momento di importante sviluppo della terapia della sclerosi multipla, nella quale il San Raffaele è stato costantemente all’avanguardia nel mondo”, spiega Comi. “L’obiettivo principale dello studio è necessariamente la sicurezza della procedura, costituendo però la premessa per una futura sperimentazione che fornisca anche indicazioni di efficacia”.

Via: Wired.it

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