Festival, congressi, riviste, centri di ricerca, e tonnellate e tonnellate di prodotti sparsi nei bar, nei supermercati, nei mercati di tutto il mondo. Ma quello del caffè è un mondo a sé. Nei prezzi (più economico a Lisbona e carissimo a Oslo), nelle forme (dall’americano, all’espresso alla turca), nella botanica (ne esistono più di cento specie, di cui l’arabica e la robusta sono le più diffuse e commercialmente più rilevanti) e anche nella scienza. Le ricerche dedicate al caffè infatti abbondano – basta provare a digitare la parola coffee nel database di letteratura scientifica PubMed per farsi un’idea – e non di rado, specie negli ultimi tempi, raggiungono anche le pagine dei giornali, spesso per decantarne le diverse virtù. Le ultime suggeriscono, per esempio, come il caffè, anche nelle formulazioni decaffeinate, aiuti a ridurre il rischio di tumore al fegato e che la bevanda possa contrastare il rischio di .
Partendo da queste proviamo a fare un punto sui benefici che finora diverse ricerche hanno attribuito al caffè, spesso al centro di dibattiti che portano i consumatori a volte a evitare questa bevenda, altre a non poterne fare a meno.
Con la premessa che un verdetto definitivo difficilmente esiste, come spesso accade in materia, ancor di più per il caffè dove la variabilità delle materie prime, dei composti e le modalità di consumi – comprese dosi e il gradirlo più o meno zuccherato – sono numerosissime. Così come le tipologie di popolazioni, e quindi le abitudini e gli stili di vita, che sono diversi nei diversi paesi in cui sono stati condotti gli studi.
A tutto questo si aggiunge il fatto che la gran parte delle ricerche sul tema sono osservazionali e si basano su consumi di caffè riferiti dagli stessi partecipanti, spesso variabili negli anni, e la cautela va rimarcata ogni qual volta si parla di correlazioni e non relazioni di causa-effetto. Nel caso del caffè a complicare i giochi anche una variabile in più: bere caffè è spesso associato all’abitudine al fumo e alla mancanza di esercizio fisico, fattori confondenti e che complicano l’analisi dei dati. A leggerli nel loro complesso i dati sembrerebbero andare nella direzione per cui un consumo moderato di caffè non avrebbe effetti negativi, anzi potrebbe essere, a sua volta, moderatamente benefico berlo.
Mortalità
Un grande studio – condotto su oltre 200mila persone – pubblicato alla fine del 2015 su Circulation aveva correlato il consumo di caffè al rischio di morte prematura. L’analisi aveva osservato che il consumo moderato di caffè era associato a un ridotto rischio di morte per malattie cardiovascolari, diabete, malattie neurologiche quali Parkinson o suicidi.
Nell’analisi dei dati, come raccontavano i ricercatori del Harvard T.H. Chan School of Public Health, erano stati tenuti in considerazione anche potenziali fattori confondenti – dall’abitudine al fumo, all’indice di massa corporea, al consumo di alcol. Per consumo moderato, cui venivano attribuiti potenziali effetti benefici, si intendeva un consumo che oscillasse dalle tre alle cinque tazze di caffè giornaliere (da intendersi americane), con caffeina o decaffeinato. Questo suggeriva che non fosse la caffeina in sé a poter avere effetti benefici ma probabilmente altri composti presenti nella bevanda, alcuni dei quali con proprietà antiinfiammatorie e capaci di ridurre la resistenza all’insulina.
Va precisato, come fecero in quell’occasione gli stessi autori, che lo studio non era stato costruito per evidenziare una relazione di causa-effetto e pertanto i risultati andassero letti alla luce di una correlazione tra consumo di caffè e ridotto rischio di mortalità, con tutte le cautele del caso, anche per i consumi della bevanda nelle popolazioni speciali (come le donne in gravidanza).
Qualche anno prima alcuni ricercatori dello stesso team anticipavano la ricerca pubblicando uno studio in cui non trovano correlazioni tra il consumo regolare di caffè e un aumentato rischio di mortalità, ipotizzando piuttosto dei potenziali modesti benefici, come ribadito anche altrove.
Patologie cardiovascolari
Sui caffè e cuore gli studi abbondano in modo particolare e sono probabilmente tra quelli più discussi e controversi. Il responso al momento più condiviso, come dichiara anche l’American Heart Association, è che un consumo moderato di caffè – pari a una-due tazze al giorno – non sembra essere associato a rischi per la salute del cuore.
Alcuni ipotizzano anche un moderato effetto benefico sul rischio cardiovascolare. D’altra parte però sono numerose le ricerche che hanno provato a stendere correlazioni più particolareggiate. Così, un paio di anni fa, fece parlare uno studio che correlava il consumo moderato di caffè (in quel caso da tre a cinque tazze al giorno) a una più bassa prevalenza di aterosclerosi coronarica subclinica, ovvero che non si manifesta ancora con segni o sintomi e si trova quindi nella sua fase precoce.
Anche in quel caso però la cautela fu d’obbligo, perché il potenziale beneficio era appunto solo tale, precisarono diversi esperti e la relazione bisognosa di conferme. Senza considerare che i risultati andavano e vanno posizionati in un quadro più ampio, in cui, per esempio, il consumo di caffè sembra essere correlato a un aumento dell’omocisteina nel sangue, associata a un maggior rischio cardiovascolare, così come a un aumento della pressione arteriosa, soprattutto nella popolazione meno abituata e in alcuni casi a quello di colesterolo.
Ma anche la velocità con cui il caffè – caffeina in primis – viene metabolizzato, e quini dalla specificità individuale, influenza il rischio per la salute di ogni persona. Nel caso dell’ictus inoltre, alcuni potenziali effetti benefici sono stati osservati per un consumo moderato, ma non per i bevitori più occasionali.
Diabete
Riferendosi alla forma di tipo 2, una meta-analisi riferita a studi con più di un milione di partecipanti nel 2014 concludeva che il consumo di caffè fosse inversamente associato a quello di diabete, in modo dose dipendente (maggiore consumo minore rischio). In particolare, il caffè, sia nella forma con caffeina che in quella decaffeinata, sembrava ridurre il rischio di soffrire della malattia, con sei tazze di caffè associate alla riduzione di un terzo di rischio diabete.
Sui meccanismi attraverso cui questo potrebbe realizzarsi non c’è affatto chiarezza, ma i risultati suggerirebbero che altri composti, oltre la caffeina, potrebbero essere responsabili di quanto osservato.
Malattie neurodegenerative
Una revisione sistematica pubblicata lo scorso anno sui rischi e benefici derivanti dal consumo del caffè, riassumeva l’analisi di diversi studi sul tema ammettendo che per alcune patologie neurologiche il caffè sembrava correlato a dei miglioramenti o riduzioni nel rischio di soffrirne, in particolare per la malattia di Parkinson. Ma anche nei confronti dell’Alzheimer il caffè potrebbe avere dei potenziali effetti protettivi, ma si tratta di studi preliminari, e ancora discussi.
Tumori
Di caffè e tumori si è discusso tanto lo scorso anno. L’occasione era stata l’emissione di un nuovo parere da parte dello Iarc, l’agenzia dell’Oms per la ricerca sul cancro, sul caffè: da essere considerata potenzialmente cancerogena, la bevanda era stata riclassificata andando a finire nella categoria 3, quella per cui non esistono prove di un possibile rischio di tumore (discorso a parte invece per le bevende molto calde, caffè compreso, ritenute probabilmente cancerogene).
Al contrario, nel caso del caffè, come la stessa Iarc ricordava, la revisione sul tema ha portato a concludere che qualche effetto protettivo derivante dal consumo di caffè potesse esistere contro il tumore al fegato e all’utero. Nel caso del fegato, solo qualche giorno fa, una revisione degli studi in materia, che abbracciava oltre due milioni di partecipanti, concludeva che il consumo di caffè – anche in forma decaffeinata, sebbene in misura minore – fosse associato con un minor rischio di carcinoma epatocellulare.
Via: Wired.it