L’origine dell’Homo sapiens potrebbe risalire a 100mila anni prima di quanto si pensasse. Con due articoli pubblicati ieri dalla rivista scientifica Nature, i ricercatori del Max Planck Institute di Lipsia, in Germania, fanno luce sulla storia evolutiva della nostra specie: non più l’Africa sub-sahariana di circa 195mila anni fa come culla della civiltà moderna, ma tutto il continente africano e in un’epoca ancora più antica – tra 350 e 300mila anni fa.
Il sito di Jebel Irhoud in Marocco – dove il team di Jean-Jacques Hublin ha trovato i fossili oggi ritenuti i più antichi della storia dell’Homo sapiens – restituisce misteriosi reperti archeologici fin dagli anni ’60: molti frammenti con caratteristiche ambigue, difficili da datare. Tanto difficili che tra gli addetti ai lavori sono emerse le ipotesi più diverse. Inizialmente alcuni ritenevano si trattasse di resti di Homo neanderthaliensis di soli 40mila anni fa, ma il ritrovamento nel ‘68 di una mandibola di 160mila anni con caratteristiche simili a quella di Homo sapiens dell’Africa orientale aveva già minato la prima teoria, volgendo verso la soluzione di un insediamento minore in un’altra area del continente africano.
“Fino a ora, l’ipotesi più accreditata era che la nostra specie avesse avuto origine abbastanza rapidamente da qualche parte in un Giardino dell’Eden situato probabilmente nell’Africa sub-sahariana”, spiega l’autore dello studio e direttore del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology Jean-Jacques Hublin, che alla luce dei recenti risultati delle analisi sui reperti aggiunge “Quel Giardino dell’Eden in Africa è probabilmente l’Africa stessa. Un giardino molto, molto grande!”
I due lavori pubblicati prendono in considerazione reperti diversi, datati e attribuiti mediante tecniche differenti.
Nel primo articolo Hublin confronta i resti di 5 individui ritrovati nel sito marocchino, tra cui una porzione di cranio e una mandibola, con altri reperti attribuiti a specie antiche del genere Homo (da 1,8 a 150mila anni fa), a Homo neanderthaliensis e infine a Homo sapiens di 130mila anni fa. Le analisi hanno condotto gli esperti a concludere che la massima somiglianza fosse proprio con i fossili di sapiens. Tuttavia dall’osservazione sono emerse anche differenze che suggeriscono che gli ultimi ritrovamenti possano appartenere a una fase evolutiva precoce dell’Homo sapiens. Il cranio ritrovato, per esempio, sembra una combinazione di tratti moderni e arcaici: una struttura facciale più fine e denti simili ai moderni Homo sapiens, ma una scatola cranica ancora primitiva, sebbene mostri già i segni dell’evoluzione verso la forma del cranio tipica dei sapiens delle epoche successive.
Nel secondo studio, a firma del team di Shannon P. McPherron, vengono analizzati con la tecnica della termoluminescenza i resti degli utensili e degli animali ritrovati nel sito di Jebel Irhoud. Attribuiti al Paleolitico Medio (300-40mila anni fa), sarebbero compatibili con la datazione dei resti degli Homo, indicandone oltretutto le abitudini: questi nostri antenati si nutrivano di carne di gazzella, gnu e zebra ma anche di uova di struzzo e di molluschi di acqua dolce, amavano succhiare il midollo dalle ossa delle prede e padroneggiavano il fuoco.
Via: Wired.it