Cristiana Pulcinelli
AIDS. Breve storia di una malattia che ha cambiato il mondo
Carocci Editore, 2017
Pp 211, Euro 16.00
“Se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide”. Questo era lo slogan scelto per una importante campagna di informazione per prevenire la diffusione dell’AIDS intorno al 1990 in Italia. Le informazioni corrette volevano invitare – soprattutto i giovani – a modificare i propri comportamenti, in particolare quelli sessuali, allo scopo di evitare il contagio. “Talk about AIDS”, “Tutti sono a rischio” erano invece alcuni degli slogan scelti per le campagne di informazione in America; altri poster tentavano di suscitare paura proponendo immagini di tombe e cimiteri, “Use condom” invitava a misure di prevenzione. Le parole sembravano chiare ma la diffusa (segreta) convinzione che la malattia fosse dovuta a comportamenti “immorali” rendevano spesso tendenziose le immagini e l’interpretazione degli slogan.
Questa storia dell’AIDS raccontata dalla giornalista Cristiana Pulcinelli descrive le iniziali difficoltà dei medici per individuare e definire una malattia apparentemente incomprensibile, che si diffondeva rapidamente, che impediva alle persone affette di resistere ad altre infezioni. Le prime tracce della malattia erano state riscontrate in pazienti africani, infettati da un retrovirus chiamato HIV (Human immunodeficiency virus), derivato da un ceppo SIV (Simian immunodeficiency virus) presente nello scimpanzé (Pan troglodytes) in cui non provoca alcun danno. Non è la prima volta, spiega l’autrice, che un virus animale si trasferisca in umani, e racconta come questa evenienza e la successiva epidemia si sia velocemente propagata tramite contagi interpersonali, in Africa, in America e in particolare dall’America ad Haiti. È interessante vedere come la diffusione del virus si sia accompagnata all’apertura di strade, alla costruzione di ferrovie, alla prostituzione, e sia avvenuta usando tutti i mezzi che la civiltà offre agli scambi culturali, sessuali e di mano d’opera tra popolazioni diverse. Intorno al 1980, con la nuova sindrome in pieno sviluppo, gli epidemiologi americani si riferivano ad essa come alla malattia delle 4H: homosexuals, heroin addicts, haitians, hemophiliacs. E alla fine del 1982 si aggiungono alle categorie a rischio chi subisce trasfusioni, anche bambini molto piccoli.
Gli studi si sviluppano in Francia all’Institut Pasteur, e grazie al contributo di Françoise Barré – Sinoussi finalmente gli scienziati riescono a capire qualcosa: il virus responsabile della malattia è un retrovirus di cui le analisi genetiche hanno potuto individuare l’origine e l’evoluzione. Il retrovirus HIV, che ha un patrimonio genetico formato da RNA, aderisce alla superficie di una particolare cellula del sistema immunitario umano chiamata linfocita T, e inietta in essa il suo RNA che viene trascritto in DNA e inserito nel DNA del linfocita aggredito. Sfruttando il suo ospite il virus può moltiplicarsi al suo interno e liberare all’esterno moltissime copie di se stesso, infettando con lo stesso meccanismo altri linfociti il cui numero diminuisce nel corso della malattia. L’immunodeficienza è provocata proprio dalla distruzione dei linfociti: l’organismo non ha più un sistema immunitario efficiente e non è più capace di difendersi dalle infezioni. I linfociti T si trovano normalmente nel sangue, nel liquido seminale, nelle secrezioni vaginali, nel latte materno: il contagio dipende, dunque, dalla possibilità di introdurre nell’organismo il virus infettante o i linfociti T carichi di virus. Per questo in tempi passati erano pericolose le trasfusioni di sangue non controllato e sono oggi pericolosi sia l’uso di siringhe sporche di sangue infetto sia i rapporti sessuali non protetti. In questi casi, infatti, i virus liberati dai linfociti T e i linfociti T infetti possono attraversare le mucose sia integre sia con eventuali lesioni e passare nel sangue del nuovo ospite. La trasmissione da madre a figlio, detta trasmissione verticale, può avvenire durante la gravidanza, durante il parto, o con l’allattamento.
L’identificazione del virus e la sperimentazione delle prime forme di terapia antivirale contrappongono il gruppo francese diretto da Luc Montagnier a quello americano diretto da Robert Gallo. Le prime terapie antiretrovirali con il farmaco AZT non bloccavano completamente la replicazione del virus, e solo dopo una decina di anni di studio si ottennero importanti progressi terapeutici sfruttando differenti meccanismi di azione di farmaci combinati. Ma se aumentava il numero dei pazienti che sopravvivevano, aumentava anche il numero dei nuovi infetti. Anche oggi le cause della diffusione dipendono probabilmente più dalla mancanza di informazione e prevenzione che dalla mancanza di terapie antivirali.
Negli Usa i tempi della diffusione dell’AIDS coincidono con radicali cambiamenti sociali: gli anni dal 1960 in poi sono quelli della contestazione. I giovani si rivoltano contro il puritanesimo, la guerra, la segregazione razziale, si ribellano i detenuti, gli indiani, le donne, gli omosessuali. In questa situazione, avvengono le prime morti per immunodeficienza, si attribuisce il contagio alle pratiche omosessuali e all’uso di droga, i gay si ribellano contro la discriminazione e si sviluppano anche idee negazioniste.
La risposta attiva delle comunità gay americane su informazione e prevenzione, la necessità di rompere tabù comportamentali, la discriminazione contro i sieropositivi (cioè contro coloro che erano infetti dal virus ma non presentavano segni di malattia) avvia movimenti di autocoscienza e di lotta che smuovono i sistemi sanitari e sociali non solo in America. L’importanza di queste prese di posizione anticonformiste e i cambiamenti che ne sono derivati rappresentano forse la parte più interessante di questa storia. Il necessario avanzamento delle conoscenze scientifiche coinvolge non solo aspetti economici (i profitti delle industrie farmaceutiche) ma anche aspetti di solidarietà a partire dalla necessità di produrre e diffondere farmaci e terapie a basso costo nei paesi africani, molto più poveri degli Stati Uniti e molto più colpiti dal virus.
Nell’ultimo capitolo del suo libro, l’autrice passa in rassegna i tanti film e documentari, usciti tra il 1985 e il 2017, che hanno messo in evidenza sia i diversi modi di convivere con la malattia, rendendola più tollerabile, sia i cambiamenti nel costume provocati dalle dichiarazioni di omosessualità rese da attori e personaggi pubblici malati di AIDS. Una ricca bibliografia e un accurato glossario dei termini scientifici usati concludono il volume.