Le dipendenze da sostanze – come alcol, nicotina, cocaina o eroina – sembrano caratterizzate da una relativa incapacità di controllare il consumo a dispetto delle possibili conseguenze negative che la droga stessa può indurre. Questo discontrollo sembra dipendere sostanzialmente da due diversi fattori. Il primo è la difficoltà a regolare il desiderio della sostanza, a gestire cioè il craving. Il secondo è l’azione di automatismi appresi che legano il consumo di una sostanza a stimoli associati: luoghi, sensazioni corporee, idee, gesti, odori, altre persone e così via. La costruzione di queste reti di associazioni fa sì che la percezione dello stimolo condizionato possa innescare il consumo di una sostanza in modo sostanzialmente automatico, talora anche inconsapevole: quindi anche in assenza di un desiderio soggettivamente percepito. Questo schema della dipendenza ad esempio si manifesta spesso nel tabagismo.
Il sistema della ricompensa. Tra apprendimenti, desideri e motivazioni
L’assunzione reiterata di sostanze psicoattive agisce su un complesso circuito cerebrale, basato sul rilascio della dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale nei processi di ricompensa e gratificazione e per questo al centro degli apprendimenti dei comportamenti strumentali. In questi apprendimenti un soggetto fissa l’associazione tra una sequenza di azioni e una eventuale conseguenza gratificante, in relazione a un concomitante insieme percepito di elementi dell’ambiente esterno e interno al suo organismo. Quando queste associazioni si stabiliscono la dopamina diventa un segnale che, in presenza degli stimoli associati, predice la possibilità di ottenere nuovamente la ricompensa ripetendo il comportamento appreso. In questo senso la dopamina tende anche a mediare il desiderio delle ricompense apprese e dunque la motivazione a porre in atto i comportamenti strumentali funzionali alla sua soddisfazione.
Il circuito cerebrale in questione, denominato sistema della ricompensa, contiene neuroni che originano dall’area ventrale tegmentale (VTA) e raggiungono l’area limbica e le aree corticali frontali a costituire, rispettivamente, la via mesolimbica e quella mesocorticale. Molte sostanze d’abuso, come le amfetamine e la cocaina, agiscono su questo sistema aumentando il livello di dopamina extracellulare presente nelle due vie. Ciò avviene essenzialmente seguendo due strategie: promuovendo il rilascio del neurotrasmettitore, o inibendo il suo re-uptake (ossia, il riassorbimento della dopamina una volta che la comunicazione neurone-neurone è compiuta). Altre sostanze, come l’alcol o la cannabis, agiscono invece indirettamente, influenzando l’azione di neuroni che producono altri neurotrasmettitori (come il glutammato e l’acido γ-aminobutirrico, o GABA), i quali promuovono la trasmissione dopaminergica. L’attivazione dopaminergica prodotta dalle sostanze imita, in modo artificiale e amplificato, i processi delle ricompense naturali. E in tal modo può costruire forme di apprendimento strumentale patologico di comportamenti finalizzati all’uso di sostanze. Il rilascio forzato di dopamina sembra infatti essere la causa principale del craving che determina l’uso reiterato e degli automatismi che inducono il consumo anche in assenza di un effettivo desiderio percepito.
In ragione della conoscenza piuttosto articolata di questi processi, che sono anche alla base delle dipendenze, il sistema della ricompensa e i suoi vari mediatori nervosi, costituiscono il principale bersaglio degli approcci terapeutici tradizionali (siano essi di natura farmacologica o comportamentale). Questi tentano da un lato di limitare i processi nervosi che attivano il desiderio e dall’altro di potenziare i meccanismi di inibizione comportamentale.
Non bisogna tuttavia dimenticare, in questo contesto, la complicatissima architettura anatomica e l’elaborata funzionalità che contraddistinguono il nostro cervello, e che rendono la regolazione esogena dei sopracitati circuiti neurali molto difficoltosa e spesso segnata da effetti collaterali difficili da tollerare da parte del paziente.
Negli ultimi anni si è perciò assistito alla nascita di un nuovo filone terapeutico, basato su tecnologie inizialmente messe a punto a scopo di ricerca. Sono tecnologie in grado di stimolare più selettivamente e in modo non invasivo i sistemi neurali correlati alle dipendenze, attraverso l’applicazione di correnti elettriche o campi magnetici. Tra queste si sono imposte in particolare la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e la stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS), in virtù della loro precisione, al loro costo relativamente basso e alla crescente disponibilità di studi sperimentali che certificano la loro sicurezza e sembrano suggerire una qualche efficacia (Polanía, Paulus, & Nitsche, 2011).
La Stimolazione Magnetica Transcranica – TMS
La TMS, probabilmente la tecnica di stimolazione neurale più conosciuta e utilizzata, agisce sfruttando un campo magnetico ad alta intensità, generato facendo passare una leggera corrente elettrica in una bobina a spirale. Appoggiando la bobina sul cuoio capelluto di una persona è quindi possibile interferire con la normale attività neurale, in modo del tutto indolore e reversibile, attraverso l’applicazione di impulsi magnetici che vanno a modificare i processi elettrici che modulano l’eccitabilità e la comunicazione neuronale.
Questa tecnica può essere innanzitutto utilizzata per esaminare le alterazioni dell’eccitabilità corticale a seguito dell’esposizione prolungata a sostanze d’abuso: a partire dai primi anni del nuovo millennio sono dunque state effettuate diverse ricerche nell’ambito della dipendenza, spaziando dalla nicotina alla cocaina, dall’alcol all’ecstasy, per determinare come queste sostanze possano modificare, talora in modo cronico, la funzionalità cerebrale.
D’altro canto, l’uso della TMS nel contesto delle dipendenze ha assunto negli ultimi anni una natura terapeutica, più che di ricerca e/o diagnostica, grazie all’applicazione di uno specifico protocollo di stimolazione: la TMS cosiddetta ripetitiva (rTMS). In questo protocollo clinico, un set di impulsi ripetuti viene applicato con lo scopo di alterare l’eccitabilità delle zone stimolate- e delle aree del cervello anatomicamente e funzionalmente connesse. Attraverso meccanismi neurali di adattamento e neuroplasticità, la ripetizione nel tempo di queste sedute di neurostimolazione produrrebbe degli effetti duraturi di ristrutturazione degli schemi di funzionamento delle parti stimolate. In particolare, attraverso la stimolazione delle diverse parti del sistema della ricompensa, del circuito mesocorticolimbico, clinici e ricercatori cercano di interferire con i meccanismi neuroadattativi associati alla dipendenza. Gli obiettivi terapeutici possibili sono da un lato il potenziamento dei meccanismi di autocontrollo e inibizione dell’impulsività attraverso la stimolazione delle aree della corteccia prefrontale; dall’altro la depressione dell’attività dei sistemi cerebrali che mediano il desiderio della sostanza. (Gersner et al., 2011).
Specificatamente, in alcuni studi (Strafella et al., 2001, Cho e Strafella, 2009) la rTMS è stata applicata in congiunzione con un’altra tecnica (la tomografia ad emissione di positroni, o PET) in grado di quantificare il rilascio di un determinato neurotrasmettitore, in questo caso della dopamina. Il team di ricerca ha rilevato due importanti indicazioni dalla stimolazione ad alta frequenza della corteccia prefrontale. La prima è che essa promuove il rilascio di dopamina nel nucleo caudato. Nei soggetti dipendenti, l’attività dopaminergica in questo centro cerebrale è più bassa del normale e ciò è all’origine di fenomeni di anedonia (cioè relativa capacità di provare piacere) e conseguentemente di bassi livelli di motivazione ad agire per le normali attività e per le ricompense naturali: fenomeni che rendono molto difficile sostenere la motivazione al cambiamento in un percorso di recupero. La seconda significativa indicazione individuata dalla stimolazione ad alta frequenza della corteccia prefrontale è che essa modula il rilascio di dopamina nella corteccia cingolata anteriore e orbitofrontale, un’attività che contribuisce a rafforzare le capacità di inibire il desiderio e i comportamenti compulsivi e automatici di consumo. Quest’azione combinata si traduce in un “ritorno alla normalità” del circuito mesocorticolimbico, e in una diminuzione dei comportamenti (ricerca della sostanza e craving) collegati all’assunzione di alcol (Mishra et al, 2010) e droghe (Politi et al, 2008).
La Stimolazione Elettrica Transcranica a Corrente continua – tDCS
Nella tDCS, una corrente elettrica a bassissimo voltaggio è applicata attraverso due elettrodi (anodo, negativo e catodo, positivo) posti sul cuoio capelluto. In questo modo la corrente, che attraversa epidermide e cranio, viaggia attraverso la corteccia cerebrale e ne modula l’attività, modificando le proprietà elettriche delle membrane cellulari dei neuroni (Polanfa et al, 2011). La natura di quest’azione modulativa, così come i suoi effetti sull’eccitabilità corticale, sono strettamente dipendenti dalla durata, dalla potenza e dalla polarità della stimolazione (Nitsche et al., 2005): se da un lato, infatti, la tDCS anodica induce una depolarizzazione della membrana cellulare dei neuroni (favorendo quindi la loro eccitabilità), quella catodica iperpolarizza i neruoni, e quindi li rende meno propensi a comunicare, cioè a rilasciare neurotrasmettitori (Stagg e Nitsche, 2011).
Anche per quanto riguarda la tDCS, diversi studi hanno cercato di fare luce su un eventuale effetto di tale stimolazione nel ridurre il grado di comportamenti dannosi correlati all’uso di sostanze e alle dipendenze. Nel complesso queste ricerche suggeriscono, come prassi terapeutica, l’applicazione della tDCS anodica a livello di corteccia dorsolaterale prefrontale: l’applicazione della corrente in questa area si tradurrebbe infatti in una riduzione significativa del craving nei soggetti dipendenti dalle sostanze (Boggio et al, 2010) o alcol (Boggio et al, 2008).
Le tecniche di stimolazione cerebrale qui illustrate sembrano rappresentare uno strumento potenzialmente efficace nel trattamento di alcuni effetti legati alle dipendenze, anche se certamente sono necessari ulteriori studi ed approfondimenti per poterne affinare efficacia e ripetibilità. Allo stato attuale infatti la casistica piuttosto è limitata e i protocolli ancora piuttosto eterogenei per trarre dai vari risultati indicazioni scientificamente fondate. Sarà per questo cruciale standardizzare i protocolli di stimolazione, andando a definire un modus operandi e un disegno sperimentale specifici per ogni sostanza e, possibilmente, per i diversi sintomi che si vogliono andare a contrastare.
Dal punto di vista della ricerca è invece auspicabile un’analisi più accurata degli effetti della TMS e tDCS su altre regioni cerebrali coinvolte nei comportamenti legate alle dipendenze (come le aree motorie e premotorie), non solo quella prefrontale.
Sarà infine fondamentale studiare l’uso combinato della stimolazione cerebrale e di altri trattamenti comunemente utilizzati nella cura delle dipendenze, alla ricerca di possibili effetti cumulativi, benefici sul lungo periodo.
Stefano Canali e Marcello Turconi
Riferimenti bibliografici:
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Strafella AP et al. (2001). Repetitive transcranial magnetic stimulation of the human prefrontal cortex induces dopamine release in the caudate nucleus. Journal of Neuroscience, 21: 157RC.
Per approfondimenti su questo tema si può consultare il sito Psicoattivo, da cui è tratto l’articolo qui pubblicato.