La pratica della meditazione e lo stato di quiete mentale hanno degli effetti evidenti e misurabili sul cervello. Sono i risultati di uno studio internazionale, guidato da Sergio Elías Hernández della Universidad de La Laguna (Tenerife). Chi è abituato alla meditazione, scrivono i ricercatori su Neuroscience, ha più sinapsi (ovvero le connessioni tra i neuroni) nelle aree legate al controllo delle emozioni e dell’attenzione. Queste regioni in genere sono invece meno attive in disturbi come depressione, ansia, iperattività e deficit d’attenzione: in questi casi la meditazione potrebbe assumere un ruolo terapeutico.
Per analizzare l’anatomia e la connettività funzionale del cervello (ovvero il modo in cui le diverse aree cooperano per svolgere delle funzioni) i ricercatori hanno sottoposto a risonanza magnetica 23 meditatori e 23 non meditatori. I primi erano esperti di Sahaja Yoga, uno dei diversi tipi di meditazione nato in India alla fine degli anni ’70.
Lo studio ha evidenziato che la corteccia del cingolo rostrale anteriore (rACC), zona del cervello connessa con il buonumore, è collegata alla capacità di mantenere il silenzio mentale, ovvero di bloccare il flusso di pensieri esterni e concentrarsi sul sé. In questa regione, nel cervello dei meditatori c’era il 7,5% in più di materia grigia, la parte costituita dai nuclei dei neuroni e dalle fibre che ricevono i segnali dagli altri neuroni, una porzione che è anche associata all’intelligenza. Inoltre, tra i meditatori, quelli che raggiungevano uno stato di silenzio mentale più profondo mostravano un volume di materia grigia superiore rispetto agli altri.
Ma cosa accade esattamente nel cervello quando si medita? Lo spiega Marco Feligioni, esperto in neuroscienze e ricercatore dell’European Brain Research Institute (EBRI), il centro di ricerca sul cervello fondato da Rita Levi Montalcini.
In che modo la meditazione aumenta le connessioni fra neuroni e la materia grigia? “La meditazione stimola il rilascio di neurotrasmettitori, sostanze che favoriscono il trasferimento delle informazioni fra neuroni. I neurotrasmettitori aumentano la plasticità sinaptica, ovvero la comunicazione tra cellule neuronali. Questi fattori, che sono in grado di regolare sia la funzionalità che la morte cellulare, sono anche alla base della formazione di nuove connessioni tra neuroni, le sinapsi. E la creazione di sinapsi comporta un aumento di materia grigia, dato che implica la produzione di proteine e membrane, quindi una crescita di massa e volume”.
Ma come si può generare una sinapsi a partire da un pensiero, o meglio dalla quiete mentale, dunque da un “non pensiero”? “Non si sa quale sia il collegamento tra pensiero, o “non pensiero” appunto, e l’attivazione di questi meccanismi. Sebbene si sappia come vengono rilasciati questi neurotrasmettitori, e quali aree del cervello si attivino a seconda di diverse azioni o stimoli – ad esempio se muovo un dito sappiamo che si attiva una certa zona cerebrale – non si sa come siano collegati pensiero e sinapsi. Rimane uno dei quesiti più affascinanti delle neuroscienze”.
Lo studio in questione ha preso in esame lo Sahaja Yoga, un tipo di meditazione molto spirituale: secondo lei questo particolare tipo di meditazione è più efficace nella stimolazione delle sinapsi di altri o pensa che con altre pratiche gli effetti sarebbero equivalenti? “La potenzialità della meditazione cambia a seconda dell’individuo. Non è la pratica stessa che ha un effetto chimico, come se fosse un farmaco, ma è l’elaborato della meditazione che si trasforma in un segnale chimico, e questo può quindi variare da persona a persona. Di conseguenza tipi diversi di meditazione avranno effetti diversi su persone diverse, probabilmente anche a seconda delle credenze religiose”.
Perché è importante studiare gli effetti della meditazione sul cervello? “Attualmente conosciamo alcune patologie che si manifestano con un’atrofizzazione di alcune aree del cervello, e dunque siamo alla ricerca di terapie che possano riabilitare queste zone, per esempio con cellule staminali che sostituiscano le cellule morte. La meditazione potrebbe essere molto importante nel coadiuvare queste terapie: se ne comprendessimo a fondo il meccanismo di azione, potrebbe avere un ruolo importante nel riaccendere le aree con deficit neuronale“.