Hiv: ecco perché alcune persone riescono a controllare l’infezione

Hiv

Gli antiretrovirali hanno cambiato la storia dell’hiv: prima del loro avvento la stragrande maggioranza delle persone infette era destinata inesorabilmente a sviluppare l’Aids, la forma conclamata della malattia, e poi a morire per le sue complicanze. Per una ristretta categoria di pazienti però l’aids non arriva mai: sono i cosiddetti elite controller, persone che per una qualche imprevedibile caratteristica (verosimilmente genetica) sono in grado di sopprimere indefinitamente l’infezione da hiv, senza bisogno di medicinali e senza alcun rischio (per quanto ne sappiamo oggi almeno) di sviluppare la malattia. Una popolazione di pazienti rarissima, che viene studiata da anni perché potrebbe custodire la chiave per sconfiggere definitivamente una delle peggiori epidemie mai affrontate dal genere umano. Ma nonostante investimenti miliardari e tanto, tanto lavoro, ad oggi non si sa ancora come, e perché, il loro sistema immunitario riesca dove tutti gli altri falliscono. Un nuovo studio, appena pubblicato su Science Immunology, aggiunge però un tassello a questo grande sforzo internazionale per individuare, e un giorno sfruttare, le caratteristiche molecolari che permettono all’organismo umano di affrontare l’Hiv.

Vediamo di cosa si tratta.

Elite controller
La maggioranza delle persone quando contrae l’hiv è destinata a sviluppare l’aids nel giro di pochi anni. Alcune persone, definite dagli esperti long term controller, riescono a controllare l’infezione più a lungo, anche per un decennio, specie se hanno alle prese con una versione particolarmente docile del virus.

Ma anche loro, prima o poi, sono destinati ad ammalarsi se non vengono sottoposti alle moderne terapie farmacologiche. “Per una categoria ancora più ristretta di pazienti le cose sono diverse”, racconta a Wired AdrianoLazzarin, primario U.O. Malattie infettive dell’Ospedale San Raffaele di Milano. “Si tratta dei cosiddetti elite controller, pazienti rarissimi, non più dell’1% del totale, in cui il virus viene tenuto sotto controllo senza alcun bisogno di antiretrovirali”. Come ci riescono? Non è chiaro: come spiega Lazzarin quel che sappiamo è che spesso si tratta di pazienti in cui il virus si replica poco, e che qualche caratteristica del loro sistema immunitario gli consente di mantenere la situazione inalterata, indefinitamente. Si sa che alcuni linfociti T, i CD8, giocano un ruolo nel resistere al virus, perché in questi pazienti sembrano più efficaci nel riconoscere e distruggere le varianti dell’Hiv. Ma a parte questo, sappiamo poco e nulla degli elite controller.

Lo studio
È qui che entra in gioco la nuova ricerca. Gli autori dello studio, un team di ricercatori dell’Istituto Pasteur di Parigie della Monash University, hanno analizzato i recettori presenti sulla superficie dei linfociti T, o Tcrs (T-cell receptors), provenienti dalle cellule di diversi elite controller: linfociti CD8 (elementi del sistema immunitario che hanno il compito di eliminare le cellule infettate) e CD4 (o linfociti helper, che orchestrano la risposta immunitaria e rappresentano il bersaglio principale dell’hiv). Di Tcrs ne esistono milioni di versioni in un organismo umano, e trovarne di identici tra individui differenti è estremamente raro. Eppure i ricercatori hanno scoperto diversi recettori assolutamente uguali sulle cellule di tutti gli elite controller. I recettori in questione inoltre sono presenti sulla superficie dei CD4, che negli individui resistenti al virus spesso mostrano una elevata capacità di continuare a funzionare anche una volta infettati dall’Hiv. E c’è di più: questi Tcrs sembrano avere al capacità di reagire tutti alle stesse porzioni di virus (definite epitopi), e sarebbero in grado di riconoscere e legarsi ad alcuni elementi del sistema immunitario definiti HLAs, che dai risultati della ricerca sembrano in grado di conferire a CD8 e CD4 dei pazienti elite controller la capacità di distruggere le cellule infettate dall’hiv.

Una storia di fallimenti
“I risultati di questa sono sicuramente interessanti – sottolinea Lazzarin – e se saranno confermati e studiati più a fondo potrebbero certamente rappresentare la base di partenza per sperimentare nuovi approcci terapeutici contro la malattia”. Attualmente, infatti, lo scopo della comunità scientifica è quello di trovare una cura capace di eliminare definitivamente il virus dall’organismo dei pazienti. Gli antiretrovirali (o Art) hanno infatti rivoluzionato la vita dei pazienti, garantendo a quasi tutti la possibilità di cronicizzare l’infezione e non soccombere mai agli effetti dell’aids. Ma si tratta di una soluzione temporanea: sia per la sostenibilità del sistema che per la qualità di vita dei pazienti, sarebbe fondamentale arrivare al più presto a una cura definitiva. Di tentativi se ne fanno, e se ne sono fatti, moltissimi, ma fino ad oggi i risultati sono estremamente deludenti: su 30 milioni di infetti nel mondo – ricorda Lazzarin – solo uno è guarito. Si tratta del famoso paziente di Berlino, un uomo che oggi non presenta più l’infezione in seguito a un trapianto di midollo, che lo ha reso in grado di eliminare definitivamente i reservoir virali dal suo organismo. Ma persino i tentativi di replicare quanto successo fino ad oggi non hanno avuto successo.

“L’eradicazione del virus è uno dei campi in cui si lavora e si investe di più, ma i risultati sono stati fino ad oggi molto deludenti – sottolinea l’esperto – nessuno degli approcci sperimentati ha mai avuto successo. E sicuramente è perché dei diversi elementi che entrano in gioco quando cerchiamo una cura, la nostra risposta immunitaria è ancora l’aspetto di cui conosciamo meno. È per questo che le ricerche sugli elite controller potrebbero fare molto per il progresso delle terapie contro l’Hiv”.

Le prospettive future
Il problema quando si parla di hiv è che si tratta di un virus particolarmente insidioso. I farmaci moderni sono in grado di sconfiggerlo, ma anche nei pazienti che presentano una carica virale ormai non più rilevabile questo continua ad essere presente in piccolissime quantità in alcune aree dell’organismo definite reservoir virali. E una volta interrotta la terapia, il virus torna inevitabilmente a replicarsi. Quello che si cerca di fare quindi è trovare un sistema per snidare il virus dai suoi nascondigli e distruggerlo, una volta per tutte. Ed è qui che la nuova scoperta potrebbe dare i suoi frutti: individuate le caratteristiche che donano ai linfociti degli elite controller la loro capacità di individuare e distruggere il virus, si potrebbe pensare di sviluppare un vaccino terapeutico o una forma di immunoterapia: prelevando CD8 e CD4 dei pazienti, ingegnerizzandoli per potenziarne la capacità di contrastare il virus, e reintroducendoli quindi nel paziente per spazzare via anche gli ultimi residui dell’infezione.

Quante siano le probabilità di riuscita, o quanto tempo servirà, è impossibile stabilirlo. Ma secondo gli esperti si tratta certamente di una possibilità interessante per cercare di terminare una volta per tutte una delle peggiori pandemie conosciute dal genere umano.

Via: Wired.it

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