Non c’è società scientifica, istituzione sanitaria governativa, associazione di ricerca sui tumori che non dediche pagine, monografie, video, infografiche e faq per ricordare l’importanza delle prevenzione quando ci si espone al sole. Perché se da una parte appare impossibile ignorare questo fattore di rischio per lo sviluppo dei tumori (e non solo: la Iarc, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità mette la radiazione solare e affini, leggi lampade e lettini abbronzanti) nel gruppo 1: cancerogeni per l’uomo), dall’altra è ingenuo ignorare e non considerare il piacere delle passeggiate sulla spiaggia, in montagna, ma anche solo al parco quando c’è il sole.
Così, più che invitare a sfuggire del tutto la radiazione solare per scongiurare i tumori e i rischi correlati, le raccomandazioni più realistiche sono quelle volte a garantire un’esposizione sicura, o meglio a rischio ridotto, dove il piacere e la necessità (alcune persone lavorano al sole) siano bilanciati con la sicurezza.
Perché ne parliamo, ancora
“Ogni anno ci ritroviamo a fare gli stessi discorsi, ma c’è ancora bisogno di farli, soprattutto per due motivi”, commenta a Wired Mauro Picardo, del dipartimento di dermatologia clinica dell’Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma. Il primo: “Da una parte non abbiamo ancora avuto la riduzione nell’incidenza dei tumori per la pelle che speravamo di ottenere grazie alla diagnosi precoce e a interventi preventivi di provata efficacia, come la riduzione dell’esposizione scorretta al sole, dal momento che il legame tra esposizione a raggi Uv e rischi per la salute è accettato con ragionevole certezza”.
Il secondo motivo, prosegue Picardo, è che “sentiamo che c’è sempre richiesta di informazioni da parte del pubblico, interessato ad avere indicazioni per capire come ridurre i rischi, come comportarsi”. Occorre sapere come proteggersi da perdita di elasticità e rughe, indurimento della pelle, danni agli occhi e tumori della pelle, come carcinomi (basocellulari e squamocellulari) e melanoma, il più raro ma più pericoloso della categoria (per cui sono noti diversi fattori di rischio, oltre le radiazioni Uv). Perché il sole può far male, ma ci sono modi e modi perché possa fare meno male.
Ma cosa del sole fa male?
Il sole può far male perché sono dannosi i raggi ultravioletti della sua radiazione. I raggi ultravioletti sono un tipo di radiazione elettromagnetica. Nello spettro si trovano si trovano a una lunghezza d’onda minore e frequenza (e dunque energia) maggiore rispetto al visibile, la porzione di spettro percepibile dal nostro occhio. Classicamente se ne distinguono tre tipi: A, B, C, nell’ordine, da lunghezza d’onda maggiore a minore (e di contro da frequenza, ed energia, minore a maggiore).
Alcune di queste radiazioni hanno sufficiente energia da essere considerare ionizzanti, ovvero in grado di strappare elettroni da molecole, trasformandole in ioni. Le radiazioni possono danneggiare la pelle e il dna contribuendo al rischio di insorgenza di tumori. In particolare, i danni al dna possono riflettersi in alterazioni in geni che influenzano morte e sopravvivenza cellulari. Più ci si espone, più si aumenta il rischio di incorrere in mutazioni, alcune delle quali possono accumularsi, lasciate indietro dal meccanismo di riparazione del dna. Relativamente al sole le radiazioni più energetiche sono la porzione Uvc, ma si tratta di radiazioni bloccate dallo strato dell’ozono e che non raggiungono pertanto la superficie della terra.
Non esiste un’abbronzatura sana
Il rischio di tumore rientra in quelli potremmo dire a lungo termine in seguito a un’inappropriata esposizione solare. Le scottature e l’abbronzatura sono infatti effetti a breve termine di quello che sta succedendo alla pelle (oltre i raggi ultravioletti non riescono a penetrare), ma vanno interpretati come un segnale che qualcosa sta già andando per il verso sbagliato. L’abbronzatura stessa – secondo alcuni in grado di per sé di offrire una protezione equivalente solo a quella di una crema protettiva con un Spf 3/4 – è un meccanismo di difesa con cui la pelle cerca di proteggersi dagli effetti dannosi della radiazione. Tanto che per lo European code against cancer non esiste un’abbronzatura che possa considerarsi sana.
Per Picardo, “la produzione stessa di melanina è la manifestazione di come il nostro corpo stia organizzando un sistema di difesa: la melanina prodotta di melanociti, stimolati dai cheratinociti funziona come un cappello che si para davanti al dna a schermare il danno indotto dalla radiazione ultravioletta. Ma l’esposizione al sole induce la produzione di altri scudi meno ‘visibili’ rispetto all’abbronzatura, quali ad esempio antiossidanti contro il danno ossidativo e sostanze in grado di stimolare enzimi che sostengono la riparazione del dna”.
Non esistono esposizioni senza rischi
Prendersi una scottatura non significa che svilupperemo un cancro alla pelle, anche se le singole scottature possono aumentare il pericolo di tumori sensibilmente e tutte le esposizioni comportano un rischio. In modo diverso a secondo del tipo di esposizione, commenta Picardo: “Quelle acute e limitate nel tempo sono più associate al rischio di sviluppare melanomi, mentre quelle croniche e prolungate, tipiche per esempio di alcune attività lavorative, sono più correlate al rischio di carcinomi cutanei squamocellulari”.
E anche le sedi sono diverse. I primi colpiscono anche zone non comunemente esposte, come le gambe, gli altri le zone più a contatto normalmente con il sole, quali la testa, va avanti l’esperto. Così come è difficile stabilire una dose sicura, impossibile è stabilire una dose che sia eccessiva, perché diversi sono i fattori che entrano in gioco: dal fenotipo (quelli più scuri sono generalmente più tolleranti ai danni del sole rispetto a persone dalla carnagione più chiara) o dall’intensità delle radiazioni, dalle condizioni ambientali e geografiche. La regola generale è che più ci si espone più si rischia, specie se lo si fa in modo scorretto, e di conseguenza più si mette in crisi il sistema di riparo e difesa del nostro organismo.
Strategie di difesa per bilanciare il “buono del sole”
Fate le dovute premesse è logico come i meccanismi di prevenzione siano quelli efficaci a ridurre l’esposizione, sia a livello temporale, sia quantitativo. Fanno parte dei primi la riduzione del tempo passato al sole, dei secondi l’utilizzo di schermi, che siano occhiali, indumenti (compresi quelli ovviamente specificatamente sviluppati per offrire protezione dalle radiazioni ultraviolette), creme solari (meglio se con un Spf non inferiore a 30, concordano per lo più gli esperti: a proposito qui e qui potrete trovare un utile ripassino su come funzionano le creme protettive e come utilizzarle) o zone ombreggianti. Il consiglio di non esporsi nelle ore centrali della giornata si trova potremmo dire a cavallo: se da una parte ci permette di ridurre l’esposizione complessiva dall’altra ci tiene lontani dal sole nel momento in cui la sua radiazione è più intensa.
Ma sarebbe, dicevamo, ingenuo ignorare anche il piacere dello stare al sole, e non parliamo del benessere (personale) legato ai fattori estetici nell’immediato: “Il piacere derivante dal vedersi abbronzati è del tutto soggettivo e va considerato un fattore soprattutto culturale, più tipicamente di impronta caucasica”, commenta in proposito Picardo. E aggiunge: “Diverso è il discorso legato alla percezione biologica. Quando ci esponiamo al sole nella pelle vengono prodotti endocannabinoidi che stimolano la sensazione di piacere e benessere. In parte si tratta di un meccanismo legato alla necessità biologica di esporci al sole per la produzione di vitamina D, anche se a questo fine bastano esposizioni limitate. L’esasperazione di questo comportamento porta, almeno nei modelli animali, a sviluppare dei sistemi di dipendenza, che immaginiamo possa agire anche in alcune persone, alla costante ricerca di abbronzatura a prescindere dal risultato finale”.