Cos’è il virus Zika

L’ultima allerta in merito al virus Zika arriva da El Salvador: il piccolo stato dell’America centrale avrebbe infatti appena invitato le donne in età fertile del paese a evitare gravidanze fino al 2018. Una misura estrema per scongiurare il rischio di nuovi nati con microcelafia, una malformazione neurologica potenzialmente associata alle infezioni da virus Zika, il patogeno che sta mettendo paura all’America centro-meridionale. Sconosciuto nel Nuovo continente fino a pochi anni fa, la diffusione del virus Zika è coincida con un aumento della nascita di bambini con microcefalia e dei casi della sindrome di Guillain-Barré. E, sebbene tra il virus e le due condizioni non sia stato accertato un nesso casuale, le evidenze suggeriscono un potenziale legame, tale da attuare misure preventive drastiche, come quella de El Salvador. Ma cos’è questo virus e perché si pensa che possa causare malformazioni e disordini neurologici?

Virus Zika, un altro patogeno trasmesso dalle zanzare
Il virus Zika – uno dei patogeni sotto osservazione da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità – è un patogeno (genere Flavivirus) che si trasmette grazie alle punture di zanzare infette del genere Aedes, in modo particolare da Aedes aegypti nelle zone tropicali.

Le stesse attraverso cui si diffondono la Dengue, la febbre gialla e la chikungunya. Isolato per la prima volta nel 1947 nella foresta Zika dell’Uganda, a lungo del virus si è avuta notizia solo in Africa, in Asia, quindi nelle isole del Pacifico (Micronesia e Polinesia Francese), ma dal 2014 lo si ritrova anche nell’America Latina, prima in Cile, poi nel Brasile e poi dallo scorso ottobre in diversi paesi del centro e sud America, dove si sta diffondendo rapidamente. Grazie al clima che facilita la diffusione degli insetti vettori e grazie al fatto che per le Americhe si tratta di un virus nuovo, ovvero contro cui la popolazione non ha ancora sviluppato difese.

Sebbene le zanzare Aedes aegypti siano ritenute il principale vettore del virus, il patogeno potrebbe trasmettersi anche attraverso specie diverse, come Aedes albopictus. Non è da escludersi inoltre neanche la trasmissione per via sessuale, ritrovandosi anche nello sperma, o attraverso trasfusioni di sangue. Le principali modalità di trasmissione suggeriscono che il modo migliore per prevenire le infezioni sia evitare le punture di zanzara, coprendo il più possibile il corpo, utilizzando zanzariere, repellenti e insetticidi, ed evitando le riproduzioni degli insetti, per esempio facendo attenzione alle acque stagnanti in vasi o qualsiasi altro contenitore.

Pochi sintomi e generalmente lievi
Compaiono, laddove compaiono, tra i 2 e i 7 giorni dopo la puntura di una zanzara infetta (sebbene i tempi di incubazione non siano del tutto chiari), ma sono generalmente moderati. Febbre, dolori muscolari, congiuntivite e rash cutanei. Ma si calcola che a manifestarli sia solamente una persona su 4, per poco tempo, circa una settimana. Sintomi dunque non così specifici e comuni ad altre infezioni, come la dengue. Anche la stessa identificazione del virus non è facile. Nei test sierologici, la similitudine con altri virus, quali quelli all’origine della dengue e febbre gialla, rende complicata l’identificazione (per il rischio di cross-reazione degli anticorpi diretti contro questi virus).

Più affidabile, ma più complicata, l’identificazione genetica attraverso tecniche molecolari quali la Pcr a partire da un campione di sangue. Non ci sono vaccini e in genere le infezioni non danno complicazioni, e sono solitamente trattate con i medicinali comuni contro febbre e dolori. Se si escludono casi sporadici con complicazioni gravi e malattie pre-esistenti, precisano dall’Oms, il virus Zika non porta alla morte. Non ci sono evidenze, ribadiscono, che il virus che sta interessando il centro e sud America possa causare morte.

Il virus Zika e il sospetto legame con la microcefalia
Il potenziale legame tra virus e rischio microcefalia è emerso lo scorso ottobre, quando il Brasile (investito dall’epidemia di Zika nel maggio del 2015 e dove gli infetti potrebbero essere 1,5 milioni) ha riferito di un’insolita impennata nei casi di bambini nati con microcefalia, una condizione estremamente variegata, anche nelle cause (comprese infezioni virali), e caratterizzata da una significativa riduzione del volume cerebrale e della circonferenza cranica.

Condizione, spiegano da Telethon, che può non avere significati patologici e che non comporta necessariamente riduzione delle capacità cognitive, ma a volte può essere associata ad anomalie durante lo sviluppo embrionale, e può dare origine in alcuni casi a ritardi mentali, epilessia, atassia, problemi di vista e udito e ritardo nello sviluppo. Dalla fine dello scorso anno agli inizi di gennaio, il Brasile, dove dal 2010 al 2014 si registravano ogni anno circa 160 casi di nati con microcefalia, se ne sono registrati oltre 3500 (inclusi 46 morti), soprattutto nella zona nord-orientale del paese (l’ultimo bollettino rilasciato dalle autorità locali parla di quasi 3900 casi sospetti di microcefalia).

Contemporaneamente, si sono accumulate le evidenze che suggerirebbero la trasmissione verticale (da madre a figlio) del virus, rivelando il patogeno nel liquido amniotico di donne con feto diagnosticato con microcefalia e in nati con la malformazione. Sebbene i casi di relazione con il virus confermati non siano tantissimi e malgrado siano al vaglio altre ipotesi per spiegare l’impennata dei casi di microcefalia, le evidenze accumulate e le coincidenze temporali suggeriscono un potenziale legame tra virus e il rischio malformazione, rischio che sarebbe più elevato nel primo trimestre.

Per questo, fino a oggi, l’ufficio regionale dell’Oms americano raccomanda alle donne in età fertile che si trovano nelle zone interessate dalla trasmissione del virus di adottare tutte le misure per scongiurare il contagio a scopo preventivo. Il Cdc negli Usa – dove il virus è stato osservato in un bambino nato con microcefalia nelle Hawaii da madre che aveva vissuto i mesi della gravidanza in Brasile – sconsiglia invece i viaggi verso le zone interessate dal contagio alle donne incinte o quanto meno di rimandarli.

Altri rischi
Le infezioni del virus Zika sono state correlate anche a un altro tipo di disordine neurologico: la sindrome di Guillain-Barré, malattia a base autoimmune, che comporta paralisi degli arti, potenzialmente mortale e associata a diversi tipi di infezioni, in alcuni casi a interventi chirurgici e i rari casi a vaccinazioni. La maggior parte delle persone si riprende dalla sindrome ma alcuni riportano danni neurologici a lungo termine. Casi anomali della rara sindrome si sono avuti prima durante l’epidemia avvenuta nella Polinesia Francese tra il 2013 e il 2014, poi di nuovo in Brasile, con alcuni dei casi confermati della sindrome con sintomi assimilabili a quelli di un’infezione dal virus.

Più utile forse è riportare il numero di casi registrati normalmente rispetto a quelli segnalati durante le infezioni del virus. Così, per esempio, medici brasiliani parlano di circa tre volte tanto i casi segnalati nel 2015 rispetto agli altri anni, e El Salvador (tra i paesi recentemente interessati dal virus Zika), riferisce di un aumento anomalo nei casi della sindrome nell’ultimo mese: da una media mensile di 14 a 46 registrati tra dicembre e gennaio. Per alcuni di questi, 12, il quadro clinico precedenti l’inizio dei sintomi della sindrome potrebbe essere compatibile con quello di infezione da Zika, ma le indagini sono ancora in corso per dimostrare il possibile legame, malgrado le coincidenze temporali tra le due condizioni. Tanto che per il Cdc, riferisce il New York Times, i report relativi al caso debbano considerarsi ancora aneddotici, viste le limitate informazioni oggi disponibili.

Via: Wired.it

Credits immagine: Marcos Freitas/Flickr CC

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