(Università Statale di Milano) – Una vasta categoria di malattie neurodegenerative tuttora incurabili è caratterizzata dall’anomala aggregazione di proteine come il peptide beta-amiloide o la alfa-sinucleina, considerati un fattore chiave per lo sviluppo, rispettivamente, del morbo di Alzheimer e del morbo di Parkinson. Individuare la formazione di questi aggregati prima della comparsa dei sintomi della malattia è praticamente impossibile al giorno d’oggi, ma in futuro questa potrebbe diventare una strada percorribile. Una delle possibilità più promettenti consiste nel trarre vantaggio dallo stesso processo biologico che determina la diffusione della malattia nell’organismo per amplificare minuscole quantità di proteine aggregate in maniera anomala. Così facendo, se ne potrebbe individuare la presenza anche a concentrazioni molto basse in un campione biologico, rendendo quindi possibile una diagnosi preclinica di queste malattie.
I recenti progressi nella tecnologia dei microfluidi consentono questo tipo di analisi, ma rimane un problema da affrontare: su quantità così piccole, il rischio di ottenere risultati sbagliati – falsi segnali positivi o assenza di segnali quando invece gli aggregati sono presenti – è alto. È quindi necessario trovare un modo per minimizzare questi rischi di misurazione.
Ed è qui che il gruppo di ricercatori del Centro della Complessità e dei Biosistemi entra in gioco. Gli autori dello studio hanno affrontato il problema con un approccio computazionale. In pratica, hanno simulato al computer la formazione degli aggregati proteici, in modo da poter studiare le fluttuazioni di queste quantità in relazione al variare del volume del campione. In questo modo sono riusciti a ideare e a validare un test preclinico in grado di determinare l’esatta quantità di aggregati anomali. Il che rappresenta un primo, significativo passo verso la realizzazione di un vero e proprio strumento diagnostico per molte malattie neurodegenerative.
“Questo è un importante esempio di un modello realizzato a computer che può fornire la base per lo sviluppo di un test clinico in grado di diagnosticare una malattia neurodegenerativa prima che essa si manifesti”, ha commentato la biologa Caterina La Porta, che ha diretto i lavori del gruppo di ricerca milanese.
Riferimenti: Via Università Statale Milano