Per osservare la polvere del Sahara a volte basta dare uno sguardo i nostri cieli, altre invece ci vengono in aiuto i satelliti, grazie a cui per esempio abbiamo visto che può spingersi fino in Amazzonia. Ma se vogliamo capire se è radioattiva dobbiamo analizzarne dei campioni. Meglio se provenienti da diversi luoghi, meglio se legati a una stessa tempesta di sabbia. Così ha fatto un team di ricercatori sfruttando gli eventi che nella primavera del 2022 toccarono l’Europa e chiedendo aiuto a cittadini della zona centro occidentale. Scoprendo che lo è ma non in maniera pericolosa, e gettando luce anche su altri aspetti interessanti.
Per farlo, come accennato, hanno chiesto la collaborazione dei cittadini, chiamati a raccogliere campioni di polveri in occasione di una tempesta di sabbia particolarmente forte, quella della primavera del 2022, monitorata dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service (Cams) dell’Unione Europa. Ed è unicamente a questo evento che si riferisce l’analisi di oggi.
#SaharanDust is colouring the skies of North Africa and of parts of the Iberian Peninsula in🟧
The #CopernicusAtmosphere Monitoring service forecasts provide a view of the situation for the coming days
⬇️Aerosol forecasts (visualised in @Windycom) from today until 17 March pic.twitter.com/kPCqxAZemB
— Copernicus EU (@CopernicusEU) March 15, 2022
Lo studio sulla polvere del Sahara
Non tutti i campioni raccolti sono stati analizzati, ma solo quelli (una cinquantina) che era plausibile arrivassero da lontano e dalla zona incriminata, ovvero dall’Africa nord-occidentale. Su queste i ricercatori hanno effettuato analisi approfondite, quali analisi di geologia, mineralogia, morfologia e, ovviamente, chimiche, ma sono stati anche modellati i possibili tragitti percorsi. Nel dettaglio sono stati analizzati i rapporti tra gli isotopi radioattivi del cesio e del plutonio, e i risultati hanno confermato una contaminazione radioattiva da parte delle tempeste di sabbia. D’altronde che la sabbia del Sahara potesse essere radioattiva non è una sorpresa né una notizia, ricordano gli stessi esperti. La storia raccontata da quei granelli però è un pochino più complessa e meno allarmante di quanto possa sembrare a una prima lettura.
Polvere radioattiva, ma senza rischi per la salute
Gli aspetti che emergono dallo studio sono diversi. Punto primo: i granelli di sabbia secondo le analisi effettuate arrivano dalle zone incriminate, molto probabilmente. Le analisi puntano alla Libia, al Mali, ma soprattutto alla zona meridionale dell’Algeria, e all’area di Reggane, come possibili fonti di quella tempesta di sabbia. Il secondo aspetto, quello centrale, riguarda la contaminazione radioattiva di quei granelli. La radioattività c’è ma quella riscontrata non è compatibile con i test francesi: come spiegano i ricercatori, le caratteristiche della detonazione e dei combustibili usati dalla Francia avrebbero dovuto dare un rapporto per gli isotopi del plutonio e di cesio e plutonio diversi da quello osservato. I valori riscontrati sono compatibili con le radiazioni dei fallout dovuti ai test nucleari di Stati Uniti ed Unione Sovietica e che si osservano come radiazione artificiale di fondo in tutto il mondo, scrivono a chiare lettere gli autori. E come ricorda l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), la principale fonte di radioattività artificiale sul nostro pianeta sono i test nucleari degli anni Sessanta – e ancor prima, come avvenuto alle isole Marshall – e gli incidenti nucleari (anche di quelli si è trovata traccia nella polvere del Sahara).
Via: Wired.it
Credits immagine: Tünde da Pixabay
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