Isole Lofoten, territorio norvegese a nord del Circolo polare artico. Terre dove la neve ricopre le montagne per nove mesi l’anno, dove la risorsa principale è il pesce, esportato in tutto il mondo. Piccoli villaggi che si popolano solo d’estate, quando i turisti più avventurosi decidono di raggiungere Capo Nord. In questo panorama fatto di gabbiani e foschia lo sviluppo economico ha preso una strada inconsueta, quella del microcredito, una forma di finanziamento per piccole imprese ispirata alla Grameen Bank, che dal 1983 aiuta le donne nei paesi in via di sviluppo. La versione norvegese si chiama Banca delle donne (Kvinnebanken) e, dal 1992 a oggi, ha raccolto 500 membri organizzati in 80 gruppi, tutti profondamente radicati nel territorio, dove assolvono anche ad un ruolo di educazione all’impresa. Tutto è iniziato grazie a Bodil Maal, ministro della pesca norvegese. Che, venuta a conoscenza del successo raccolto dal sistema bancario basato sul microcredito nel Bangladesh, ha pensato di esportare il modello asiatico nelle fredde terre delle isole Lofoten. Nonostante le migliaia di chilometri di distanza e le profonde differenze culturali e sociali, infatti, la realtà del Bangladesh e quella norvegese hanno numerosi punti di contatto. Primo fra tutti la difficoltà incontrata dalle donne a sviluppare piccole aziende: da una parte la mancanza di fondi, dall’altra l’assenza di un’organizzazione che le seguisse nella realizzazione dei loro progetti. Per assurdo, infatti, è più semplice ottenere un prestito bancario di centinaia di milioni da investire in un impresa di grandi proporzioni, piuttosto che poche decine per la creazione di un’azienda a conduzione famigliare, o i cui prodotti siano legati alla stagione turistica. Gli ostacoli maggiori sono i tassi d’interesse, i tempi di restituzione del denaro e le garanzie da presentare agli istituti finanziari. Strette fra le morse di questo sistema le donne delle isole Lofoten non riuscivano a trovare un modo di mettere a frutto la loro iniziativa personale, la loro voglia di crearsi un lavoro, di seguire una passione. Fino a quando non hanno guardato a Sud. La storia della Grameen Bank inizia nel 1976 quando Muhammed Yunus, professore di economia all’Università di Chittagong nel Bangladesh, abbandona la sua cattedra frustrato dall’incapacità dei modelli finanziari tradizionali di risolvere il problema degli abitanti più poveri del suo paese. Si trasferisce quindi in campagna per studiare da vicino queste difficoltà e comincia a elaborare i principi della Banca rurale, la Grameen Bank appunto. I problemi appaiono subito chiari. Le condizioni di credito delle banche sono troppo onerose per permettere ai contadini di chiedere un finanziamento per comprare le materie prime con cui cominciare a produrre e vendere i loro prodotti. Yunus inizia allora a prestare loro i propri soldi, con tassi d’interesse e tempi di restituzione ragionevoli, permettendo in questo modo il sorgere di alcune piccole attività che presto divengono molto produttive. Nonostante questi successi il professore non riesce a convincere le banche a seguire il suo esempio, soprattutto quando propone quali beneficiarie dei prestiti donne povere, che non possono offrire alcuna garanzia. Eppure lui è convinto che proprio loro siano le persone su cui puntare di più, quelle in grado di far fruttare al massimo i soldi ricevuti. L’idea di banca di Yunus è particolare: non solo un distributore di soldi, ma un punto di riferimento per tutta la comunità in cui si inserisce. La Grameen Bank nata nel 1983, dopo sei lunghi anni di lavoro, ha fornito fino ad oggi oltre due milioni di prestiti in Bangladesh di cui l’82% a donne. La sua organizzazione, i suoi principi, l’azione di educazione svolta fra le popolazioni svantaggiate l’hanno resa famosa in tutto il mondo, anche nelle isole Lofoten, a nord del Circolo polare artico. Qui i prestiti vengono concessi principalmente dallo Stato a gruppi composti da un minimo di due a un massimo di cinque persone, che sono chiamate a gestire i soldi insieme. Ogni gruppo può ottenere fino a circa 50 milioni di lire, ma, per iniziare, ogni singolo membro può chiederne solo poco più di 10. Quando li avrà restituiti potrà chiederne altri. È sempre il gruppo a decidere il tasso d’interesse e l’ammontare di ogni prestito. In più ogni donna versa una quota mensile che va ad alimentare una cassa di emergenza. Questi soldi le verranno restituiti se deciderà di uscire dal gruppo una volta ripagato il proprio debito. Le regole della Banca stabiliscono infine che nessun membro di un gruppo ne possa uscire se non dopo aver trovato un nuovo membro. “Le nostre socie sono impegnate su diversi fronti: allevamento di pesce, ricamo, piccola editoria, lavori artigianali”, afferma Inger Thomassen, capo dell’ufficio informazioni della Kvinnebanken. Lei stessa è membro di un gruppo a Kabelvåg, un paesino sulla costa est delle isole Lofoten, dove l’organizzazione l’ha assunta per fornire informazioni a tutte le donne che ne vogliono sapere di più. Il modello della Grameen Bank funziona anche nei paesi industrializzati – come ha sottolineato anche Yunus quando ha visitato le Lofoten – e non solo nel terzo mondo. Il suo messaggio e delle responsabili della Banca delle Donne norvegese è chiaro: questo modello può essere una delle chiavi per sradicare la povertà nel mondo, se solo il mondo lo volesse.