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Italia, fanalino di coda

Decisamente ancora insufficienti i finanziamenti alla ricerca. Lo ribadisce il direttore dell’Istituto di ricerca sull’impresa e lo sviluppo (Ceris) del Cnr di Torino, Secondo Rolfo. Una constatazione basata sul fatto che nel 2004 gli stanziamenti rappresentavano appena l’1,1 per cento del Prodotto interno lordo (Pil): poco più di 15 miliardi di euro investiti, tra pubblico e privato, cifra che ci colloca al nono posto tra i paesi Ocse, Cina e Israele. Il podio più alto l’hanno guadagnato gli  Stati Uniti con 312,5 miliardi di dollari (a parità di potere di acquisto), seguiti da Giappone (118 miliardi), Cina (94), Germania (59,2) Francia (38,9), Regno Unito (32,2), Corea (28,3) e Canada (20,8).

I dati e i principali indicatori sull’impegno del nostro paese in ricerca e sviluppo sono stati raccolti dal Ceris-Cnr nel libro “Scienza e tecnologia in cifre. Statistiche sulla ricerca e sull’innovazione”. E i numeri parlano chiaro: anche se rispetto al 2003 si è registrato un incremento dell’1,2 per cento, dopo il calo generale degli anni Novanta, il rapporto R&S/Pil (il già citato 1,1%) colloca l’Italia all’ultimo posto insieme alla Spagna. L’Israele è il paese che, rispetto al proprio Pil, investe più di qualsiasi altro (4,4%). Questa seconda lista prosegue con Svezia (4,0%), Finlandia ( 3,5%), Giappone (3,2%), Svizzera e Corea (2,9%), mentre gli altri paesi oscillano tra il 2,7 per cento degli Stati Uniti e l’1,2 per cento dell’Irlanda. Siamo quindi abbastanza lontani dall’investire quel 3 per cento del Pil proposto a Lisbona come obiettivo della politica comunitaria che mira a rendere l’Unione Europea “la prima economia al mondo basata sulla conoscenza”.

Altri dati che si possono trovare nel libro sono quelli relativi alle pubblicazioni che “testimoniano una produttività della ricerca pubblica a livelli confortanti e in crescita nel tempo”, commenta il direttore del Ceris. La percentuale di citazioni di articoli scientifici firmati da ricercatori italiani è infatti passata dal 2,04 per cento del 1992 al 3,01 per cento del 2003 (percentuale calcolata sul totale mondiale delle citazioni). Altro indicatore importante è quello di nuovi brevetti dove però non brilliamo: sulla base dei dati dell’European Patent Office, del Japanese Patent Office e del United States Patent and Trademark Office, l’Italia brevetta l’1,56 per cento delle nuove invenzioni, dietro a Stati Uniti (37,56%), Giappone (25,85%), Germania (13,82%), Francia (4,54%), Regno Unito (3,76%), Paesi Bassi (1,94%), Svizzera (1,72%) e Corea (1,60%).

Il nostro livello scientifico-tecnologico, che si misura non solo con i brevetti, ma anche in base allo scambio di tecnologia, al know how, ai marchi da fabbrica, ai servizi con contenuto tecnologico (assistenza tecnica, formazione del personale, servizi di ricerca e sviluppo) è in lieve risalita. “Pur mostrando particolari successi sia imprenditoriali sia settoriali” commenta però Rolfo, “in generale l’Italia manifesta un livello scientifico-tecnologico non esaltante. Lo conferma un indicatore come le esportazioni delle industrie manifatturiere ad alta tecnologia in rapporto al totale delle esportazioni delle industrie manifatturiere”. Fra i paesi Ocse, per prima troviamo l’Irlanda con oltre la metà dei manufatti ad alta tecnologia esportati. Seguono Ungheria (30,0%), Stati Uniti (28,5%), Giappone (26,5%). L’Italia esporta appena l’8,6 per cento di manufatti ad alta tecnologia, battuta da Repubblica ceca (13,5%), Slovenia (10,9%), Grecia (9,8%) e Spagna (9,3%). (t.m.)

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