Nove prigionieri di Guantanamo sono stati torturati con la complicità del personale medico. Per ognuno di loro esiste una documentazione, difficilmente contestabile, dell’atteggiamento omertoso di medici che compilando i referti hanno sorvolato sulle cause di fratture multiple comparse all’improvviso e psicologi pronti a liquidare come “disturbo della personalità” o “stress da privazione della libertà” gli effetti traumatici di interrogatori cadenzati da torture di vario tipo (privazione del sonno, minacce di stupro, finte esecuzioni, nudità forzata, esposizione a temperature estreme, eccetera).
Non riusciranno forse questi nove casi, descritti dettagliatamente sulle pagine di Plos Medicine, a scoperchiare definitivamente quel calderone di violazioni dei diritti umani piazzato dagli americani nella base navale della baia cubana, in cui sono finiti circa 800 detenuti dal 2002 a oggi. Serviranno però a dimostrare che anche lì, nell’isola caraibica, come troppo spesso accade altrove (vedi Galileo) ci sono medici, in questo caso stipendiati dal Dipartimento di Difesa statunitense, che vengono meno al loro dovere evitando di fare domande sulle ferite che sono chiamati a medicare.
In tutti i casi analizzati, le testimonianze dei detenuti sulle torture subite coincidono con quanto documentato dai referti medici: il personale sanitario quindi riportava minuziosamente i danni provocati dagli interrogatori senza mai risalire all’origine. Di più: presumibilmente le informazioni mediche sui prigionieri finivano nelle mani degli aguzzini pronti a sfruttare i punti deboli del malcapitato. Così a un detenuto che soffriva di mal di schiena è stato imposto di mantenere prolungate posizioni dolorose.
Tutto ciò è inaccettabile, dicono i firmatari dell’articolo, due medici che a diverso titolo da tempo alzano il dito contro quei colleghi che tradiscono il giuramento di Ippocrate e contravvengono alle norme internazionali contro la tortura. Vincent Iacopino e Stephen Xenakis, che hanno analizzato la documentazione riscontrando le evidenti colpe del personale medico, si spendono da tempo per la difesa dei diritti umani: il primo, membro di Physician for Human Rights, aveva da poco denunciato il grottesco tentativo della CIA di attribuire valore scientifico agli studi che giustificano le tecniche rafforzate di interrogatorio (vedi Galileo), mentre il secondo, un alto ufficiale a riposo dell’esercito statunitense, non perde occasione per raccontare cosa resta della deontologia medica dietro le sbarre dei campi di prigionia.
La complicità tra chi indossa i camici bianchi e chi veste i panni dell’aguzzino è un’aberrazione che qualunque rivista medica dovrebbe denunciare. La posizione di Plos Medicine, affidata a un editoriale che affianca l’articolo di Iacopino e Xenakis, è chiarissima: “pubblicare prove documentate e sottoposte a peer-review di comportamenti nocivi, soprattutto se provengono da luoghi difficilmente accessibili come le prigioni o teatri di guerra, è un ruolo di vitale importanza delle riviste mediche. Questa rivista sosterrà le future inchieste sulla complicità del personale medico a Guantanamo che chiaramente viola i fondamentali diritti umani”.
Riferimenti: PLoS Medicine doi:10.1371/journal.pmed.1001027