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Quando l’universo faceva i fuochi d’artificio

Mentre nelle giovani galassie immensi starburst creavano ogni anno centinaia di nuove stelle, il contemporaneo accrescimento dei buchi neri al loro centro produceva intense scariche di energia: uno spettacolo pirotecnico di proporzioni galattiche. È l’immagine dell‘Universo primordiale che emerge dal lavoro di un team di astronomi guidato da Peter Barthel, del Kapteyn Institute di Groningen, che ha studiato più di 70 galassie attive utilizzando Herschel, il telescopio spaziale dell’Esa. Lo studio è stato pubblicato su Astrophysical Journal Letters.

Le galassie cosiddette attive – come i Quasar e le Radiogalassie – tipiche dell’Universo primordiale, sono caratterizzate dalla presenza al loro centro di un buco nero supermassivo che, consumando incessantemente enormi quantità di materia, emette radiazioni particolarmente intense nello spettro delle onde radio, dei raggi X e dell’ultravioletto. Normalmente le forti radiazioni che emettono sono l’unico dato disponibile per studiare queste galassie, perché, a causa della loro distanza, la luminosità delle loro stelle non è abbastanza forte da permetterne l’osservazione con i telescopi convenzionali.

Così perlomeno è stato fino al 2009, quando il lancio del telescopio Heschel, che opera su lunghezze d’onda del lontano infrarosso (tra i 25-40 µm e i 250-350 µm) ha permesso finalmente un’osservazione più diretta, rendendo per la prima volta possibile la raccolta di dati relativi alla velocità con cui si formano nuove stelle all’interno di queste galassie lontane. Gli astrofisici hanno così potuto iniziare a raccogliere dati preziosi sulla loro composizione e sulla loro relazione con le galassie di tipo normale (quelle meno attive, ovvero con minore emissione energetica e meno interessate da fenomeni di formazione di nuove stelle, come la Via Lattea) .

Il team di Barthel, coinvolto nel progetto Heschel sin dal 1997, ha utilizzato il telescopio spaziale dell’Esa per studiare 70 di queste galassie, scoprendo così forti emissioni di radiazioni infrarosse, compatibili con un alto tasso di accrescimento. Per fare un paragone, si parla di centinaia di nuove stelle nate ogni anno, mentre in galassie come la nostra, la Via Lattea, il tasso è più o meno di una nuova stella per anno. Al contempo, la forte presenza di onde radio suggerisce che anche i buchi neri al loro interno siano in forte accrescimento, rilasciando luminose scariche di energia. Uno scenario che nel complesso restituisce l’immagine di un Universo illuminato da spettacolari giochi pirotecnici. I dati raccolti dai ricercatori del Kapteyn Institute forniscono quindi una conferma al fenomeno noto agli astronomi sin dagli anni ’90, e cioè che le galassie massive hanno sempre a loro volta un buco nero massivo.

“Sta diventando sempre più evidente che le galassie attive non sono solamente tra i più grandi, i più distanti e i più spettacolari oggetti dell’Universo, ma sono anche tra i più importanti”, ha spiegato Barthel commentando la scoperta: “Molte, se non tutte, le galassie massive normali sono infatti passate probabilmente per fasi simili, in cui erano presenti una simultanea attività dovuta ai buchi neri e un alto tasso di formazione di nuove stelle”.

Riferimenti: Astrophysical Journal Letters doi:10.1088/2041-8205/757/2/L26

Credits immagine: ESA/NASA/RUG/MarcelZinger

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