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Diario dal Forte

di
Valentina Sereni

Non hanno ricevuto l’attenzione che i mass media hanno riservato a quelli oltreoceano, ma gli hacker italiani esistono. E si danno da fare. Ogni anno organizzano per esempio Hackmeeting, occasione per incontrarsi, scambiare idee, progetti. E magari trovare lavoro, visto che molti di loro già dipendono, a vario titolo, da aziende informatiche. Ma soprattutto, per una volta, senza ricorrere al dialogo virtuale, gli hacker possono parlarsi faccia a faccia. Quest’anno la tre giorni – 16, 17 ,18 giugno – è stata ospitata dal Forte Prenestino di Roma, ex fortezza papalina trasformata alla fine degli anni Ottanta in centro sociale di spicco, tanto che il quotidiano francese Le Monde lo ha definito uno dei motori culturali della capitale. Un’inviata di Galileo è stato con loro.

15 giugno: prologo

Preludio al meeting vero e proprio, una conferenza stampa il 15 giugno nella polverosa piazza d’armi del Forte. Sotto un tendone per ripararsi dall’afa capitolina, circondati da mura che videro guerre tutt’altro che virtuali, tra gli occupanti del Forte che danno l’impressione di non capire bene cosa succederà nei prossimi giorni, gli hacker esordiscono: “Per noi gli hacker sono coloro che vi permettono di usare un computer e scambiare e-mail. Hanno progettato i primi sistemi operativi multiutenza, hanno costruito la rete. Sono Thorvalds, Stallman, Bozniak, le persone che hanno segnato la storia dell’informatica. Persone grazie alle quali oggi si parla di new economy e che hanno fondato la produzione delle nuove tecnologie, arrivata oggi a piena maturazione”.

Mentre al Forte gli arrivi si susseguono, la conferenza procede con il calendario per i prossimi giorni. Ok, ma perché l’Hackmeeting si fa in un centro sociale?

“Il connubio tra hacker italiani e centri sociali viene da lontano”, spiegano gli organizzatori, “ci sono elementi in comune che legano queste due esperienze: l’assoluta voglia e volontà di condivisione dei saperi e delle conoscenze, l’assoluta volontà di far sì che la comunicazione e l’informazione possano fluire libere e senza censure, e un livello di autogestione e autorganizzazione degli eventi. E’ il terzo anno che il meeting si tiene all’interno di centri sociali: nel ‘98 eravamo al Centro popolare autogestito (Cpa) di Firenze e nel ‘99 a Milano al Laboratorio studentesco deposito Bulk”.

Fine della conferenza, arrivederci a domani. L’ingresso è aperto a chiunque, ma che nessuno provi a entrare con macchine fotografiche o videocamere: il fenomeno hacker in Italia è controllato dalla polizia, e i nostri non vogliono diventare foto segnaletiche. Per la verità, tra gli hacker stessi, c’è chi ha criticato anche duramente questa “censura” nei confronti dei giornalisti. Ma alla fine è prevalsa la linea della tutela: no alle foto e alle riprese video.

16 giugno: si comincia

Si inizia con calma: ore due del pomeriggio, seminario su “Telematica di base”. I nostri hanno naturalmente il ruolo di “docenti”: creare e gestire mailing list, newsgroup, le regole della netiquette, come difendersi dai rompiscatole della rete, dalle mail indesiderate, dagli scocciatori nelle chat e così via. Un successo. Alla fine sarà uno degli eventi più seguiti, con una sessantina di partecipanti.

E’ l’occasione per ricordare, per esempio, l’altra faccia delle freenet, cioè gli accessi in rete gratuiti offerti oggi dai maggiori provider. Chi stipula un abbonamento “gratis” fornisce in realtà al provider informazioni sul proprio conto che valgono tra 800 mila e due milioni di lire a seconda della ricchezza e del dettaglio dei dati personali e di consumo. Una manna per pubblicitari ed esperti di marketing. In teoria le informazioni sono protette dalle leggi sulla privacy. Ma nessuno in aula, tra “studenti” e “insegnanti” è pronto a mettere la mano sul fuoco sulla fine di quei dati.

Il pomeriggio avanza e il centro sociale è sempre più affollato. Pieno l’austero corridoio principale ricoperto da graffiti cyberpunk, piena la piazza d’armi. Ma atmosfera è piacevole: bar con tavolini, rivenditori di kebab e musica dappertutto. William Gibson, scrittore futurista cyberpunk, si sarebbe trovato a suo agio: cani che razzolano, giovani ricoperti di tatuaggi e piercing, capelloni anarchici, ragazzini di periferia, anonimi in camicia e jeans. Tra semplici appassionati e hacker veri e propri ci saranno un migliaio di persone.

Dal corridoio principale del Forte si accede ai sotterranei, alla “sala macchine” come indica un cartello appeso all’inferriata che una volta doveva impedire l’entrata. Prima tappa, “la Cattedrale”, uno stanzone dal soffitto altissimo, sede di alcuni seminari dove spicca anche lo slogan che recita: “il carcere è un luogo dove l’essere umano viene annientato e quindi non ha ragione di esistere”.

Dalla piazza sotterranea partono in direzioni opposte due corridoi. Ognuno dei quali percorre il perimetro dei muraglioni del Forte e si dipana in numerose rientranze da una decina di metri quadri ciascuna. Qui sono alloggiati gli hackers con le loro macchine. Il muro del corridoio che dà verso l’esterno è solcato da feritoie lunghe e basse: un tempo erano i buchi che utilizzavano le guardie per tenere sotto controllo la situazione; ora funzionano da prese d’aria e mantengono la temperatura decisamente fresca, visto l’ora e il numero delle persone, un centinaio occhio e croce. Bene. Tutta questa struttura sotterranea è stata cablata. Ogni angolo è raggiunto da fili attraverso i quali è possibile connettersi, gratuitamente, a Internet. Basta un computer e una scheda di rete. E se il computer non lo si ha c’è sempre qualcuno che lo mette a disposizione quando non lo utilizza. E’ anche possibile costruirselo: in questi giorni il Forte è pieno di scatoloni stracolmi di schede madri, hard-disk e circuiti stampati di ogni tipo. La consulenza, naturalmente, è gratuita.

Anche qui l’aria è frizzante, ognuno ha portato la sua musica e la mette a tutto volume: punk, techno, rock, tango. Talvolta capita che i vicini di postazione si lamentino, e allora si abbassa il volume. Qui vige la regola del rispetto reciproco. Capannelli di persone parlottano intorno a computer portatili o pc aperti da cui escono fili di ogni tipo. Alcuni digitano convulsamente sulla tastiera, altri danno consigli all’amico con gli occhi fissi sullo schermo. La stragrande maggioranza dei partecipanti al meeting utilizza come sistema operativo Linux, inventato dal finlandese Linus Thorvalds. Qualcuno utilizza anche Windows, ma sono mosche bianche. Qualcun altro ironizza. E decide di esporre un pc fermo sul classico “errore blu” di sistema e sul monitor un foglio con la frase: “Che ne pensate?”

Passeggiando nei sotterranei si incontrano facce note, come ad esempio Raul Chiesa. Chiesa è uno degli hacker italiani resi famosi dai media. Insomma, l’”esperto” che si chiama per le occasioni particolari. Fu uno dei primi ad avere problemi con la giustizia, anni fa, dopo alcune incursioni nei sistemi della Fiat e della Banca d’Italia. Ora fa il consulente per la sicurezza di sistemi informatici. In superficie, nel mondo di tutti i giorni, qualsiasi giornalista farebbe carte false per intervistarlo; qui sotto, nelle “sala macchine”, è uno dei tanti. Una figura anonima, anche lui distratto dal suo pc. Nei corridoi si mormora della presenza di “cacciatori di teste”, ovvero persone alla ricerca di talenti informatici da pagare profumatamente per farli lavorare in azienda. A giudicare dal look di alcuni dei presenti, giacca e cravatta, impeccabili, non sarebbe solo una fantasia. La vicenda di Chiesa insegna.

Ormai è notte fonda, nei cunicoli ci saranno almeno duecento persone costantemente attaccate al computer. In superficie sono molte di più, attirate anche dalle iniziative musicali che accompagnano il meeting. Alcuni dj si preparano a lanciare musica per tutta la notte nella piazza d’armi, alla luce della luna.

17 giugno: il clou

Sabato mattina si ricomincia con i seminari, le facce sono più tirate del giorno prima. Molti hanno passato la nottata in bianco, attaccati alle macchine. Ma i seminari non sono annullati, anzi. E così si parla di reti X.25, protocollo tcp/ip, di come creare un hacklab, dell’accessibilità delle risorse sul web e di etica hacker. La giornata si consuma lentamente. Le postazioni sempre occupate, i seminari che si susseguono. La sera c’è un nuovo dj-set, e si preannuncia un’altra nottata in bianco. E’ difficile credere che tanta energia, vitalità, voglia di condivisione e capacità comunicativa siano orientate unicamente a danno del prossimo. Ma l’immagine che i media danno degli hacker è quasi sempre questa. Viene da chiedersi se chi ne parla come di pirati ne ha davvero visto uno, se ci ha mai parlato. Come era possibile fare al Forte Prenestino durante l’hackmeeting.

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