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Leggere, la migliore medicina

di
Daniela Cipolloni

La ricerca scientifica ha ampiamente dimostrato quello che intuitivamente abbiamo sempre saputo: che parlare, raccontare, cantare ai bambini fin da quando sono nella pancia della mamma concorre in modo determinante al loro sviluppo psichico. Ricordare quanto sia importante la lettura ad alta voce nei primi anni di vita non fa male, in tempi in cui la vita frenetica, il tempo che non basta, la televisione accesa, i giochi, i computer, hanno fatto cadere in disuso la pratica di raccontare una favola ai figli piccoli. A riportare l’attenzione su questo tema è stata la presentazione a Roma dei risultati della ricerca “Anch’io so leggere”, svolta presso la facoltà di Scienze motorie dell’Università di Verona con l’obiettivo di mettere a punto una metodica idonea per incoraggiare le capacità di lettura nei bambini con disabilità intellettive. L’indagine fa parte del progetto “Leggere per crescere”, un’iniziativa di responsabilità sociale promossa da un’azienda farmaceutica per sensibilizzare le famiglie a considerare i libri nell’infanzia uno strumento utile allo sviluppo del bimbo. Partito dalla città di Verona nel 2001, il progetto si sta allargando a varie regioni italiane e ha coinvolto anche i bambini ricoverati in ospedale e quelli con problemi di apprendimento. Come ha sottolineato Silvia Vegetti Finzi, psicologa e docente di Psicologia dinamica all’Università di Pisa, leggere una storia ad alta voce, guardare insieme le immagini di una favola, raccontare fiabe o recitare filastrocche nei primi cinque anni di vita contribuisce allo sviluppo cognitivo dei bambini, arricchisce il linguaggio e la memoria, stimola l’immaginazione e libera la creatività. Ma è un investimento anche dal punto di vista relazionale, perché rafforza il filo affettivo che lega chi narra e chi ascolta. Leggere fa crescere, ma può anche curare.”I bambini con i disturbi del linguaggio e della lettura sono in aumento”, ricorda Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’Istituto di Ortofonologia di Roma. “Se 30 anni fa erano il 2 per cento, oggi sono il 18 per cento”. In molti casi, però, si tratta di bambini che non hanno niente: perfettamente sani, ma trascurati o, al contrario, iperprotetti. “Condividere il tempo in un attività che coinvolga insieme genitori e figli lascia una traccia emotiva indelebile”, continua lo psicoterapeuta. “Nessun gioco elettronico o mezzo mediatico potrà mai competere con questo, sia per gli aspetti cognitivi che per quelli affettivi”.Ci sono anche bambini meno fortunati, costretti a trascorrere periodi prolungati o ripetuti in ospedale. “L’esordio di una malattia grave nell’infanzia implica un’esperienza di crisi profonda, per il bambino e per i familiari, che può trascinarli in una voragine di angoscia, solitudine ed esclusione”. Pia Massaglia, neuropsichiatra infantile all’Università degli studi di Torino, tocca un aspetto delicato: “Leggere in ospedale è una risorsa preziosa, un’attività che consente di migliorare la qualità della vita del bambino durante e dopo il ricovero, per la sua rilevanza soprattutto sul piano emotivo e relazionale. Ascoltare molte storie, aiuta a riprendere il filo della propria storia, e permette di raccontarla”, soprattutto nella prospettiva di un futuro di guarigione.La lettura è un ottimo supporto anche nei bambini con handicap cognitivo. Nell’ambito della ricerca “Anch’io so leggere”, 15 bambini con deficit intellettivi hanno seguito un percorso individualizzato per imparare a leggere. “I risultati sono stati estremamente soddisfacenti”, riferisce Franco Larocca, ordinario di Didattica e pedagogia speciale all’Università di Verona e coordinatore del progetto. “Grazie a un sostegno adeguato, attraverso la lettura ed il racconto ad alta voce è possibile aiutare chi non riesce a leggere a migliorare le proprie capacità”.Insomma leggere è terapeutico. Di più, è una medicina che non ha alcun effetto collaterale e porta solo benefici.

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