Nessun limite alle visite nel reparto. È questa la logica conseguenza di due anni di ricerca che il gruppo di studio della Sigg (Società italiana di gerontologia e geriatria) ha dedicato all’osservazione degli effetti dell’accesso libero di parenti e amici al reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Careggi di Firenze. I risultati dell’indagine sono stati netti: limitando le visite ai pazienti a due turni diurni di mezz’ora o eliminando ogni limitazione (anche notturna), non si è osservata alcuna differenza nell’incidenza delle infezioni. Al contrario, nei periodi di visita libera si è registrata una diminuzione delle complicanze cardiovascolari.
Lo studio, presentato nell’ambito del 53mo congresso della Sigg (che si è concluso lo scorso 29 novembre a Firenze), rientra in un progetto di cura globale mirato ad affiancare alla terapia tradizionale una fase di sollievo, sia psichico che sociale, utile per contrastare lo stress e l’isolamento nei quali versano i malati terminali.
Una azione per la quale è necessario promuovere un cammino di avvicinamento fra malato anziano, famiglia e servizi assistenziali in termini informativi e comunicativi, come sottolinea il presidente della Sigg, Roberto Bernabei. Secondo dati Censis infatti, solo il 2,5 per cento dei pazienti ritiene che il medico debba lasciare all’oscuro il malato sulla gravità della sua condizione. Mentre instaurare una comunicazione e parlare della morte dovrebbero essere considerati parte delle terapie palliative.
Ma come affrontare le difficoltà del medico nello stabilire un rapporto più stretto con il paziente terminale? Una risposta sembra poter arrivare da un modello canadese, Spikes, che si propone, in sei fasi successive, di guidare il medico attraverso un progressivo confronto con le esigenze e la volontà del malato. L’obiettivo è quello di costruire, a partire dall’ascolto, un percorso terapeutico informato, entro il quale il paziente sia aiutato e incoraggiato a esprimere la propria emotività. Né dovrebbe essere sottovalutato, sottolineano i geriatri della Sigg, il coinvolgimento di parenti e amici, chiamati a valutare aspetti (come, per esempio, la degenza a domicilio in alternativa a quella ospedaliera) per i quali risulta fondamentale una esatta conoscenza della condizione del malato. Valutazioni che confermano quanto la riflessione sul tema della terminalità della vita, in definitiva, abbia sempre più la necessità di confrontarsi con una forma di comunicazione centrata sulla persona e con la costruzione di solide relazioni d’aiuto. (l.c.)