Cade un altro dei timori legati a Internet: la possibilità di smerciare clandestinamente reperti archeologici. Al contrario, scrive Charles Stanish, archeologo della University of California Los Angeles in un articolo sulla rivista Archaeology, eBay e le altre piattaforme simili, hanno assestato un brutto colpo a questo commercio illegale favorendo la diffusione di falsi più o meno dichiarati e molto più economici. “Quando è iniziata l’era delle vendite online il mio timore più grande era di veder esplodere il commercio illegale di antichità”, racconta il ricercatore. Ma i suoi timori si sono rivelati infondati: consentendo l’accesso a un mercato globale, non più esclusivo, esigente ed esperto, eBay ha inavvertitamente creato una nicchia privilegiata per il commercio di copie, danneggiando quello di originali.
Vendere un falso spacciandolo per un’originale è molto meno rischioso che non vendere reperti trafugati. Inoltre, esiste anche un ampio mercato per le copie, il cui commercio è perfettamente legale. Stanish ha seguito le vendite di reperti, dichiarati originali, su eBay per circa nove anni. All’inizio il rapporto tra originali e copie era bilanciato (50-50); dopo cinque anni, il 95 per cento erano falsi. Oggi, chi vuole acquistare un reperto archeologico su Internet deve districarsi in un panorama complesso: secondo l’archeologo circa il 30 per cento delle “antichità” in vendita su eBay sono dei falsi evidenti, il 5 per cento sono veri e propri tesori e il restante 65 per cento cade nell’ambigua categoria “dovrei averlo in mano per essere in grado di stabilirne l’autenticità”. A rendere difficile la valutazione sono le tecniche di falsificazione, molto più sofisticate ed economiche di quelle di autenticazione.
Secondo Stanich, interi villaggi peruviani, egiziani, cinesi e messicani hanno smesso di saccheggiare i siti archeologici per rivendere i reperti a collezionisti facoltosi attraverso un’infinita catena di intermediari, e si sono messi a produrre copie di antichi manufatti. Il mercato degli originali ha subito un tracollo riducendo gli incentivi a saccheggiare i siti archeologici. “Le persone che guadagnavano pochi spiccioli vendendo un reperto a un intermediario, rischiando anni di prigione e multe salate, ora possono produrre direttamente manufatti molto simili agli originali e venderli nel villaggio più vicino o semplicemente avendo un account su Ebay, guadagnando anche di più”, continua Stanish. Considerando che le tecniche di autenticazione non riescono a tenere il passo con quelle di falsificazione e sono spesso distruttive e molto costose, si può vendere un vaso inca falso che è costato 10 euro a 200 senza essere smascherati. (c.v.)