HomeSaluteSclerosi multipla: l'origine vascolare è tutta da dimostrare

Sclerosi multipla: l’origine vascolare è tutta da dimostrare

di
Annalisa Bonfranceschi

Paolo Zamboni, chirurgo vascolare dell’Università di Ferrara, è da oltre un anno al centro del dibattito scientifico, clinico e mediatico per aver avanzato l’ipotesi che alla base della sclerosi multipla ci sia un problema vascolare, risolvibile tramite un intervento chirurgico. A scatenare la sclerosi multipla, secondo il medico ferrarese, sarebbe la CCSVI (insufficienza venosa cerebro-spinale cronica), ovvero un’occlusione parziale o totale del reflusso venoso dalla testa. Operando i malati per ripristinare il corretto flusso sanguigno tramite un intervento di angioplastica, secondo Zamboni, si potrebbero migliorare le condizioni fisiche di chi soffre di sclerosi multipla. Abbiamo parlato delle reali possibilità di questa terapia con Giancarlo Comi, direttore della divisione di Neurologia all’Ospedale San Raffaele di Milano in occasione del congresso del Comitato europeo per la ricerca e la terapia della sclerosi multipla (ECTRIMS 2010) a Goteborg.  

Professor Comi, è dimostrata la correlazione tra la CCSVI e la sclerosi multipla?
“Le pubblicazioni in materia sono piuttosto discordanti. Non è dimostrata la relazione di tipo causale tra la CCSVI e la sclerosi multipla. Inizialmente Zamboni ha pubblicato dei dati che mostravano come la disfunzione venosa fosse presente nel 100 per cento dei malati e completamente assente nelle persone sane. Successivamente invece altri studi hanno messo in discussione queste affermazioni, mostrando percentuali variabili dell’alterazione venosa nei malati di sclerosi multipla e riscontrando l’occlusione delle vene anche in un quarto della popolazione sana. Gli ultimi studi mostrano come la CCSVI sia solo un po’ più frequente nelle persone malate che in quelle sane”.

È ragionevole pensare che alla base della malattia ci sia un problema di vene?
“La sclerosi multipla è una patologia complessa, che coinvolge sia aspetti genetici sia ambientali. Sappiamo da tempo che particolari genotipi predispongono più di altri allo sviluppo della malattia, ma questo non è sufficiente a spiegarne l’insorgenza. Sembra essere coinvolta anche l’infezione da virus Epstein Barr e inoltre sappiamo che svolgono un ruolo determinante anche la bassa esposizione al sole, il fumo e bassi livelli di vitamina D. Oggi in più, come è emerso da un nuovo studio presentato al congresso, sappiamo che se una persona è predisposta geneticamente e contemporaneamente fuma, prende poco sole e ha bassi livelli di vitamina D il suo rischio di sviluppare la sclerosi multipla è circa venti volte superiore alla media.
La CCSVI, se gli studi scientifici che partiranno a breve confermeranno l’associazione con la sclerosi multipla, potrebbe essere solo uno dei tanti fattori che contribuiscono alla malattia e magari potrebbe aiutarci a comprendere come mai vi si associa. L’atteggiamento giusto che dobbiamo avere nei confronti di questa ipotesi è quello di considerarla e indagare meglio. Ma, come ha convenuto lo stesso Zamboni nel corso del workshop a Goteborg, la CCSVI non può essere la causa della sclerosi multipla.

È possibile, nel caso in cui fosse dimostrata la correlazione tra la CCSVI e la sclerosi multipla, che un intervento chirurgico migliori le condizioni fisiche delle persone malate?
“L’idea che un intervento chirurgico, un’angioplastica, possa guarire le persone colpite da disabilità è un’idea non solo pericolosa, perché alimenta le speranze dei pazienti, ma è anche sbagliata. Immaginare di uscire dalla sala operatoria ed essere guariti è una follia. La sclerosi multipla con il tempo causa dei danni estesi al cervello, danni non recuperabili, né ristabilendo il corretto flusso venoso né in altro modo. L’angioplastica non può curare la disabilità. Nel caso in cui fosse confermata la correlazione tra CCSVI e sclerosi multipla, sarebbe invece legittimo cercare di eliminare il difetto venoso per evitare che la malattia peggiori, non per guarire la disabilità, come invece è stato più volte detto”.

Ci sono dei rischi legati all’angioplastica?
“Sì, l’angioplastica è un intervento chirurgico, e chi si opera è costretto a terapie anticoagulanti o antiaggreganti che possono causare delle complicanze. Se non è realmente giustificata può causare problemi seri. Pretendere che tutti i pazienti debbano essere operati è assurdo e purtroppo sono molti quello che lo chiedono. Ma questo atteggiamento del malato, che chiede l’accesso a una terapia relativamente semplice e apparentemente risolutiva come questa, è facile da capire. Il paziente è comprensibilmente alla ricerca di una soluzione delle proprie difficoltà ed è naturalmente incline a credere a chi offre soluzioni al suo problema. Bisogna evitare che qualcuno speculi su queste aspettative, come sta succedendo con viaggi di pazienti in paesi dell’est Europa, dove cliniche private offrono le possibilità di questa “terapia di liberazione”. Spesso i pazienti smettono di seguire le terapie classiche e partono per sottoporsi a questo intervento, con tutti i rischi che esso comporta”.

Nelle ultime settimane alcuni pazienti hanno accusato il Ministero della salute di ritardare l’avvio delle nuove sperimentazioni sulla terapia Zamboni. Lei che ne pensa?
“Prima di autorizzare qualsiasi sperimentazione devono essere considerati tutti gli aspetti scientifici della questione. Non si tratta di un ritardo, ma di una valutazione approfondita sui rischi e sulle reali possibilità della terapia. Finché non ci sono le evidenze scientifiche di una correlazione non si può proseguire”.

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