Riccardo Oldani
Spaghetti robot
Il made in Italy che ci cambierà la vita
Codice Edizioni,Torino 2014, Pp 204, Euro 15,00
Le esperienze presentate da Roberto Odani nascono dalla conoscenza diretta di situazioni di avanguardia, da conversazioni e interviste ai principali protagonisti dell’innovazione robotica, e sono particolarmente suggestive in quanto spiegano perché l’Italia sia una delle avanguardie mondiali nella ricerca robotica.
La nostra comunità scientifica, sostiene Oldani, ha punte di eccellenza formate da ricercatori impegnati e appassionati al proprio lavoro, con pochi fondi a disposizione ma dotati di grande capacità inventiva, capaci di realizzare soluzioni non standard a problemi mai contemplati da alcun manuale di istruzioni.
Innovazione tecnologica e rispetto delle tradizioni culturali italiane si combinano nel progetti più disparati. Per esempio, il PRISMA Lab dell’Università Federico II di Napoli è impegnato nella realizzazione di un robot che sappia fare la pizza. Non si tratta soltanto di farla buona, con i sapori della vera pizza napoletana conquistati nei secoli con impasti sapienti, ma di risolvere il complesso problema della “manipolazione dinamica”, cioè quello della costruzione di un robot capace di coordinare il movimento di due “mani”, sensibili alla consistenza di un materiale non rigido, elastico, che non può essere afferrato con forza… proprio come deve essere la pasta della pizza.
A Pisa, a Parma, a Torino, a Catania… in varie città italiane si sviluppano centri di eccellenza in continua collaborazione con altri centri internazionali di pari livello, tutti caratterizzati dalla volontà e dalla capacità dei ricercatori di porsi problemi e di inventare soluzioni alla portata di un robot . Per esempio, fin dal 2010 il Vis Lab è riuscito ad allestire un veicolo in grado di guidare da solo per oltre 15.000 Km da Parma a Shangai, dotato di visione automatica, di sistemi di evitamento ostacoli, di orientamento GPS e di una quantità di componenti tutte utilizzabili anche in altri contesti e in altre sperimentazioni robotiche.
Creare in una macchina la profonda conoscenza del mondo che caratterizza gli umani non è cosa facile, e richiede tempo, passione, e competenze. I risultati, sempre da perfezionare, possono essere sfruttati in moltissimi campi, dalle attività domestiche all’alta ingegneria, fino alla medicina di punta. Si sviluppano progetti di biorobotica, come accade a Pisa dove, per esempio, si studiano protesi rivoluzionarie, in grado di restituire la sensazione del tatto a chi l’ha perduta, di promuovere la riabilitazione di arti lesi o di garantire ai malati la semplice ma complessa raccolta di dati che saranno poi esaminati a distanza da uno specialista.
L’autore discute, a partire dalle sue esperienze, due fondamentali problemi. Il primo è di natura etica e riguarda sia la possibilità che i robot “tolgano il lavoro” agli umani sostituiti dalle macchine, sia il fatto che i robot possano essere impiegati in attività belliche, aggressive o immorali. Il secondo è di tipo formativo: come preparare i futuri ricercatori in questo campo, per mantenere e sviluppare l’eccellenza italiana?
I due problemi sono collegati, e la risposta è interessante. Certamente diventa importante sviluppare la “roboetica”, a un livello più moderno di quanto espresso da Asimov nelle famose tre leggi della robotica. I robot non si programmano da soli ma dipendono dall’etica dei loro costruttori, e sono questi ultimi che dovrebbero essere preparati ad affrontare anche questi aspetti. In secondo luogo è importante immaginare non solo i robot del domani ma anche la società del domani. Per esempio, capire che il lavoro del futuro richiederà persone creative, dall’intelligenza agile, capaci di pensare e di attivare progettualità innovative, di prevedere conseguenze o di aggiustare e modificare sull’imprevisto i propri prodotti; saranno persone ormai libere dai pesanti lavori manuali, che lasciano stremato il corpo e il cervello e che possono essere effettivamente affidati alle macchine.
Dunque bisognerebbe preparare ragazzi capaci di pensare il nuovo, di liberarsi senza paura da un sapere passivizzante ormai obsoleto, di sviluppare e coordinare nuove esperienze. La Scuola di Robotica nata a Genova ma presente in altre città italiane, o il progetto Robotica a scuola nato a Torino, lavorano proprio in questa direzione. Costruire e guidare robot permette ai ragazzi di confrontarsi con i problemi dell’incertezza e del controllo, di vedere i risultati della loro progettazione, di aggiustarli modificando l’elettronica e i programmi o inventandone modifiche e sviluppi. Il progetto “Roberta, le ragazze scoprono i robot” propone attività al femminile, stimolando nelle studentesse creatività e interesse scientifico.
Sebbene si esiti a creare percorsi mirati alla istruzione in questo campo, conclude l’autore, nel nostro paese è vitale creare cultura ed educazione sulla robotica. Perché questa potrebbe rivelarsi una delle ancore di salvezza per il nostro futuro economico e industriale.