A caccia del gene della longevità

Uno studio pubblicato su Nature spiegherebbero per la prima volta l’effetto positivo di una dieta ipocalorica sulla longevità. I ricercatori del Salk Institute for Biological Sciences di San Diego in California (Usa), guidati dal biologo molecolare Andrew Dillin, hanno studiato gli effetti della proteina sintetizzata dal gene Pha-4 in un tipo di vermi nematodi della specie C. elegans. I ricercatori sono risaliti alla prima evidenza genetica della relazione tra la durata della vita e un regime calorico ristretto.

Che una dieta con poche calorie favorisse una vita più lunga (anche oltre il 40 per cento) in diverse specie animali era stato già notato fin dagli anni Trenta dello scorso secolo, ma il motivo per cui questo si verificasse non era chiaro. I ricercatori hanno individuato la proteina chiave: nei vermi privati del gene Pha-4, anche se tenuti a  regime ipocalorico, non si nota alcun allungamento nella durata della vita. Al contrario, per i vermi con il gene intatto la dieta aumenta la durata della vita di oltre il 60 per cento.

Questo ha portato gli scienziati a ritenere che il gene Pha-4 sia cruciale per la longevità indotta dalla dieta e a verificare gli effetti di geni che svolgono le stesse funzioni in altre specie animali, tra cui l’essere umano. I mammiferi posseggono infatti una famiglia di geni chiamati Foxa, molto simili a  Pha-4 e già noti per la loro importanza durante lo sviluppo e per la produzione del glucagone, un ormone secreto dal pancreas che regola i livelli di glucosio nel sangue.

Secondo gli studiosi, il potenziale effetto della restrizione calorica sulla durata della vita potrebbe essere enorme, a patto di mantenere inalterato l’apporto di vitamine, minerali e degli altri nutrienti. Il lavoro spinge a sviluppare possibili farmaci in grado di ingannare il corpo umano, imitando la restrizione calorica, senza che questo interferisca con la produzione di insulina. (t.m.)

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