Interdisciplinarità: un argomento, una materia, una metodologia o un approccio culturale che abbraccia competenze di più settori scientifici o di più discipline di studio. A tutto questo è dedicato da anni, a Venezia, un incontro dall’ambizioso titolo Matematica e cultura. Un appuntamento al quale nel corso degli anni hanno partecipato filosofi ed architetti, medici e scrittori, registi teatrali e di cinema, musicisti ed artisti ed ovviamente matematici. Non ci sono dubbi che negli ultimi anni, oltre a un travolgente utilizzo di idee e strumenti matematici in tutti i campi del sapere e delle tecnologia, i rapporti tra la matematica e la cultura hanno visto una grande ripresa. Dal teatro al cinema, all’arte, alla musica, alla letteratura, all’architettura come fonte di ispirazione di nuove forme e nuove idee.
Al convegno, in programma dal 28 al 30 marzo all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, si parlerà di tutto questo (e molto altro). Ci sarà un omaggio al grande artista Max Bill, 20 anni dopo la morte. Tra i temi. i rapporti tra la matematica e la musica, il teatro, l’architettura, il design, la letteratura, il cinema. Sarà proiettato il film Rumeno Quot Erat Demonstrandum, premio speciale della Giuria al Festival di Roma 2013, la storia di un matematico all’epoca di Ceausescu. Non poteva mancare la presentazione di un modello matematico per contribuire a risolvere il problema del movimento delle grandi navi nella laguna (qui il programma completo dell’evento).
Naturalmente, non è la prima volta che si parla di questi temi. Il 23 settembre 1949 andò in stampa un libro destinato a diventare famosissimo: Le modulor. Essai sur une misureharmonique à l’échelle humaine applicable universellement à l’architecture et à la mécanique. Autore: Le Corbusier. “Il mio sogno è di erigere, nelle aree fabbricabili che prima o poi saranno disponibili nel nostro paese”, raccontava l’architetto francese, “una griglia delle proporzioni disegnata sul muro o realizzata con aste di ferro, che serva come indicazione per l’intero progetto, un modello che presenti una infinita serie di differenti combinazioni e proporzioni, e che il muratore, il carpentiere, il falegname, dovranno consultare ogni qualvolta debbano scegliere le misure per il loro lavoro; in modo che tutte le opere realizzate, per quanto varie e differenti fra loro, saranno unificate dall’armonia. Prendiamo un uomo con il braccio alzato che in questa posizione raggiunga l’altezza di due metri e venti… Con tale griglia da costruzione disegnata per essere in armonia con l’uomo collocatovi dentro, sono certo che si otterranno una serie di misure concilianti la dimensione umana a quella matematica”. Perché la matematica? Perché “è la struttura regale studiata dall’uomo per avvicinarlo alla comprensione dell’universo. Afferra l’assoluto e l’infinito, il comprensibile e l’eternamente ambiguo. Ha muri sui quali si può salire e scendere senza alcun risultato; ogni tanto c’è una porta, allora si apre, si entra e ci si trova in un altro regno, il regno degli dei, il luogo che racchiude la chiave dei grandi sistemi. Queste porte sono le porte del miracolo“.
Qualche anno più tardi, nel 1953, Morris Kline scriveva nel volume Mathematics in Western Culture: “La matematica è una forza culturale di primo piano nella civiltà occidentale. La matematica ha determinato la direzione e il contenuto di buona parte del pensiero filosofico, ha distrutto e ricostruite dottrine religiose, ha costituito il nerbo di teorie economiche e politiche, ha plasmato i principali stili pittorici, musicali, architettonici e letterari, ha procreato la nostra logica ed ha fornito le risposte migliori che abbiamo alle domande fondamentali sulla natura dell’uomo e del suo universo… Infine, essendo una realizzazione umana incomparabilmente raffinata, offre soddisfazioni e valori estetici almeno apri a quelli offerti da qualsiasi altro settore della nostra cultura”. Si dirà, parole di un matematico!
Non solo. Il 6 ottobre 1956 veniva pubblicato sul New Statesman un articolo di Charles Percy Snow che poneva un problema che sarebbe poi stato sviluppato in una conferenza e un libro tre anni dopo. Il libro era intitolato The Two Cultures (Le due culture) e metteva a confronto la cultura scientifica e quella umanistica. Toccava temi molto sentiti, tanto che il libro scatenò una lunga polemica che spinse Snow qualche anno dopo, nel 1963, a pubblicare una appendice al libro che si conclude con le parole appena citate. Nella introduzione alla edizione del 1993 Stefan Collini, professore di letteratura inglese all’Università di Cambridge, scrive: “Dobbiamo incoraggiare la crescita di una capacità intellettuale equivalente al bilinguismo, una capacità non solo di esercitare la lingua delle nostre rispettive specializzazioni, ma anche di ascoltare, imparare e contribuire eventualmente a più ampi approcci culturali”.
Credits immagine: Matteo Emmer