Aducanumab sì, Aducanumab no. Aducanumab quando? Il primo farmaco studiato per l’Alzheimer getta scompiglio tra medici e pazienti negli Usa. Dopo un primo tentativo respinto, lo scorso giugno l’agenzia americana del farmaco (Fda) lo ha approvato mentre qualche mese dopo, a dicembre, l’Agenzia europea del farmaco, Ema lo ha invece bocciato. La motivazione: sebbene a livello cerebrale il farmaco agisca direttamente sulla formazione di placche amiloidi nel cervello – una delle caratteristiche principali della malattia, che si pensa sia alla base dei processi neurodegenerativi – l’efficacia a livello clinico resta tutta da dimostrare. Non solo: si riportano casi di gravi effetti collaterali associati alla sua somministrazione, dall’insorgenza di edemi cerebrali a vere e proprie emorragie. Due pareri opposti che lasciano spazio a dubbi e interrogativi da parti di chi è chiamato a prendere una decisione.
“L’approvazione da parte della Fda di aducanumab per la malattia di Alzheimer ha mostrato, sin da subito, la necessità di fornire a neurologi, pazienti e le loro famiglie una guida. I pazienti stanno chiedendo ai loro medici se questa è un’opzione per loro”, spiega a Galileo Gregory S. Day, ricercatore della American Academy of Neurology alla Mayo Clinic in Jacksonville, Florida e coautore di un articolo pubblicato su Neurology che fa il punto sulla questione. “L’obiettivo principale di questo articolo dell’American Academy of Neurology”, spiega Day, “è quello di fornire alle persone una comprensione più dettagliata delle evidenze scientifiche che riguardano il nuovo trattamento, di informare e dare una direzione utile alle discussioni che stanno avvenendo tra i pazienti e i loro medici. Sono necessarie più ricerche e più pubblicazioni sull’aducanumab prima che possano essere create delle vere e proprie linee guida”.
Cos’è la malattia di Alzheimer
Scoperta per la prima volta dall’omonimo neurologo tedesco all’inizio del ‘900, la malattia di Alzheimer provoca il decadimento delle funzioni cognitive. Colpisce la memoria e si ripercuote in primo luogo sulla capacità di parlare e di pensare, ma può causare anche stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. Secondo recenti stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2050 le persone colpite da Alzheimer saranno più di 107 milioni.
Tratto distintivo di questa condizione è la presenza nel cervello di agglomerati, definiti placche amiloidi, e di fasci di fibre aggrovigliate, i viluppi neuro-fibrillari. Le cause della malattia non sono ancora note, motivo per cui la ricerca si è concentrata sullo sviluppo di strategie per eliminare l’accumulo di queste proteine amiloidi e, di conseguenza, rallentare la formazione delle placche.
Aducanumab: dalla bocciatura alla approvazione accelerata
Aducanumab, il primo farmaco in grado di agire sui livelli della proteina beta-amiloide è stato approvato dalla Fda a giugno 2021. Tuttavia, circa sei mesi prima un comitato consultivo di esperti della stessa agenzia si era espresso quasi all’unanimità in senso contrario. Oltre alla mancanza di prove di beneficio clinico, i consulenti Fda rilevavano che più di un terzo dei pazienti trattati con Aducanumab sviluppava complicazioni importanti, fra cui gonfiore e possibile sanguinamento nel cervello.
La Fda ha quindi avviato per aducanumab la cosiddetta “approvazione accelerata” – soluzione di solito seguita per trattamenti contro malattie come il cancro o l’Hiv – accettando come segno di efficacia del farmaco il ridotto livello di beta-amiloide nel cervello anziché il beneficio clinico. Aducanumab, infatti, è stato testato solo in pazienti con decadimento cognitivo lieve o nelle prime fasi della malattia di Alzheimer, mentre la raccomandazione iniziale della Fda era per i pazienti con Alzheimer in qualsiasi fase della malattia.
Cosa dicono i dati sui pazienti
La review appena pubblicata riguarda i risultati di quattro studi. Tre di questi hanno fornito la prova che Aducanumab riduce le placche amiloidi nel cervello, senza però chiarire quale effetto abbia il farmaco sui sintomi legati alla malattia di Alzheimer. Gli autori riportano il caso di un solo studio che ha mostrato un rallentamento del declino della memoria in persone che ricevevano Aducanumab rispetto alle persone che ricevevano un placebo e mostrano, d’altro canto, che alcuni effetti collaterali sono comuni.
“L’evidenza degli studi clinici suggerisce che fino al 40% delle persone che prendono Aducanumab possono sviluppare effetti collaterali di gonfiore ed emorragia cerebrale” continua il ricercatore. “Nella maggior parte dei pazienti, questi effetti collaterali sono stati rilevati attraverso l’imaging cerebrale in pazienti senza sintomi. Tuttavia, alcuni pazienti hanno sperimentato gravi effetti collaterali legati a questi cambiamenti del cervello. Negli studi, gli effetti collaterali sono scomparsi per la maggior parte delle persone quando il farmaco è stato interrotto. Altre, invece, hanno riportato un grave gonfiore e sperimentato effetti collaterali persistenti come debolezza e confusione anche dopo la sospensione del farmaco, e una persona è morta a causa di gonfiore ed emorragia cerebrale che si pensa siano state causate da questo farmaco. È importante che tutti questi rapporti siano accuratamente investigati”.
Per quel che riguarda i fattori di rischio, il rapporto indica che i portatori dell’allele e4 del gene apolipoproteina (Apoe, un gene comune associato ad un aumento del rischio di malattia di Alzheimer nei caucasici) siano più a rischio, così come le persone che hanno sperimentato precedenti emorragie o gonfiori cerebrali, e quelle che assumono agenti fluidificanti del sangue.
“Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare chi è più incline a sviluppare effetti collaterali con questo farmaco”, avverte Day, “ e altre ricerche sono necessarie anche per determinare come gestire al meglio gli effetti collaterali quando si verificano, o meglio ancora, per evitare che si verifichino”.
A causa dei problemi fin qui riscontrati, comunque, oggi la Fda raccomanda che le persone che prendono Aducanumab siano strettamente monitorate con risonanze magnetiche, una prima del trattamento e poi almeno due ogni anno. Inoltre, poiché Aducanumab è un nuovo farmaco, non si sa ancora cosa aspettarsi dal trattamento a lungo termine. Ad oggi, comunque, vere e proprie alternative non ce ne sono. I farmaci attualmente somministrati ai pazienti con l’Alzheimer aiutano a gestire i sintomi, senza trattare la malattia stessa.