Francesca Zajczyk
La resistibile ascesa delle donne in Italia
Il Saggiatore 2007, pp. 220, euro 15,00
“C’è chi sostiene che è solo questione di tempo, che con la scolarizzazione e l’impiego sempre crescenti delle donne le condizioni miglioreranno comunque. Io temo che non sia solo così. È necessaria una presa di coscienza da parte delle donne dei limiti che la società impone loro, della pressione culturale che tende a mantenere nei loro ruoli tradizionali uomini e donne”. A parlare è Francesca Zajczyk, docente di Sociologia urbana all’Università di Milano Bicocca e autrice de “La resistibile ascesa delle donne in Italia. Stereotipi di genere e costruzione di nuove identità”, dove vengono presentate le esperienze di donne in carriera perché “rileggendo i problemi affrontati da chi ce l’ha fatta è possibile dare alle più giovani gli strumenti giusti”.
Quali sono le difficoltà maggiori che una donna deve affrontare nel mondo del lavoro?
“Per esempio, quelle legate all’organizzazione aziendale. Una per tutte, il face to face. In Italia è richiesta la presenza in ufficio per molte ore, mentre all’estero viene data meno importanza alla presenza fisica. Per questo le donne cominciano a scegliere percorsi al di fuori dell’azienda, attraverso le libere professioni, le consulenze, il lavoro autonomo. È difficile, ma si può fare. Molte giovani poi sono assolutamente impreparate: professionalmente ineccepibili, solo dopo anni di lavoro si rendono conto di non avanzare e non capiscono cosa succede, non hanno gli strumenti per cogliere la discriminazione, a volte molto sottile”.
Per esempio?
“Di fronte alla proposta di un posto di responsabilità la donna molte volte rifiuta. Perché? Non è a causa delle difficoltà organizzative cui dovrebbe far fronte – mettere insieme cioè lavoro e famiglia – ma della convinzione di non essere adeguata, capace. È questa una delle tante immagini stereotipate che le donne hanno di sé stesse. Non essere sufficientemente motivate, competitive, aggressive; convinzioni che crescono all’ombra delle stereotipo che la società ha cucito sulla donna per giustificare l’opinione che non sia adatta a ricoprire i posti di potere”.
La famiglia quindi non condiziona negativamente la possibilità di carriera?
“Come ho scoperto svolgendo due ricerche nazionali promosse dal MIUR su coppie e famiglie di livello socio-culturale alto in cui la donna era in carriera, esiste una nuova coppia, denominata dual career, in cui i mariti, anch’essi impegnati allo stesso livello della moglie, sono i primi sostenitori della carriera della donna. Nelle interviste che abbiamo realizzato molte donne di successo hanno dichiarato che una componente fondamentale del loro percorso è stato l’uomo, un compagno che è stato un sostegno psicologico alle scelte, alle difficoltà e all’organizzazione, un compagno che ha pienamente condiviso l’idea del progetto di lavoro della donna, che è quindi diventato un progetto di vita complessivo della coppia. Un fenomeno più evidente nei giovani”.
Anche in questi casi di successo è evidente che le strategie di conciliazione sono sempre individuali, al più vissute all’interno della coppia. Cosa fa la politica?
“Per lo più nulla. Nel libro si parla di micro-combattimenti quotidiani, perché la donna è costantemente in una situazione di guerriglia. Ma i conflitti è abituata a risolverli privatamente: un figlio non è un problema collettivo ma individuale, tuo, della tua famiglia. Così il micro-combattimento non si trasforma in messaggio politico. Almeno fino a quando il lavoro delle donne continuerà a essere considerato come un lavoro secondario”.