Impedireste a una popolazione di rifornirsi di acqua? Posta in questi termini la domanda non può che avere una risposta negativa. Eppure il controllo di una risorsa così fondamentale si concentra ormai nelle mani di poche multinazionali, che erogano il servizio a una larga fetta della popolazione mondiale, per un giro d’affari da miliardi di dollari l’anno. La privatizzazione e le regole del libero mercato, regolamentate a livello internazionale dall’Organizzazione Mondiale del Commercio e incoraggiate dalla Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale, hanno portato molte imprese del Nord del mondo a operare in paesi in via di sviluppo. All’occupazione del loro spazio economico alcuni rappresentanti dei movimenti sociali e di cittadini di Bolivia, Argentina, Uruguay, Ghana, Indonesia e Filippine hanno risposto lo scorso 13 maggio, insieme al Comitato Italiano per il Contratto Mondiale dell’Acqua e il sostegno del Comitato francese, con una manifestazione collettiva. Appuntamento: la sede che a Parigi accoglieva l’Assemblea generale degli azionisti della Suez, numero due mondiale del mercato dell’acqua. “In Bolivia la compagnia Aguas di Illimani, principale azionista Suez, ha garantito per contratto un tasso di rendimento del 13 per cento. Ma 200 mila persone sono senza acqua perché sono incapaci di pagare le esorbitanti spese di allacciamento del servizio, pari a 435 dollari, ovvero circa 8 volte di più dello stipendio di un cittadino medio boliviano” accusa Rosario Lembo, segretario generale del Comitato italiano. Nelle Filippine, dopo 7 anni di gestione privata il 20 per cento dei residenti delle zone dell’est e dell’ovest della città di Maniglia mancano di allacciamento agli acquedotti e gli aumenti delle tariffe sfiorano in alcune zone il 700 per cento rispetto al 1997. La Suez, oltre ai prezzi continuamente in aumento, è nell’occhio del ciclone per non aver realizzato, secondo le testimonianze, lavori di estensione della rete idrica per portare l’acqua alle comunità rurali e non aver rispettato gli obblighi di servizio contrattuali. Tuttavia, davanti alle crescenti proteste locali o alle pressioni massicce della popolazione affinché i governi recidano il contratto, la Suez minaccia di ricorrere ad azioni giudiziarie. Ovvero, se le amministrazioni decideranno di cacciarli dovranno pagare milioni di dollari di sanzione.Ma la preoccupazione non investe solo le multinazionali straniere. Negli stessi giorni della manifestazione parigina sul tavolo del sindaco del Comune di Roma Walter Veltroni le organizzazioni non governative Mani tese e Campagna per la riforma della Banca Mondiale hanno fatto pervenire una lettera, nella quale chiedono attenzione verso il comportamento in Honduras dell’Acea Spa, impresa italiana formalmente ancora a controllo pubblico. Il Comune di Roma è il maggiore azionista dell’Acea (ne detiene il 51 per cento), azienda che è presente nel paese sudamericano dal 2000 dove gestisce il servizio idrico nella città di San Pedro Sula, principale centro industriale. La lettera parla di “disastrosa nuova gestione delle acque” e di “aumenti non programmati delle tariffe”. Lo scontento della popolazione sarebbe alimentato anche dall’incremento delle malattie gastrointestinali, aumentate più del 48 per cento in poco più di tre anni e da aumenti delle sostanze inquinanti presenti nelle acqua. L’Acea si difende punto per punto dalle accuse da cui è investita e fornisce la propria versione: “Abbiamo portato acqua 24 ore su 24 a standard internazionali a 550 mila persone nella seconda città più popolosa dell’Honduras, e abbiamo raggiunto 150 mila persone che nel 2001 erano senza acqua. Le bollette sono aumentate in parte per l’adeguamento all’inflazione e in parte per decisioni che dipendono da altre società. Tuttavia le tariffe applicate sono più basse rispetto alla capitale”. Per le malattie gastrointestinali, dalla sede romana negano ogni responsabilità, scagionati da una ricerca svolta due anni fa dal ministero della Salute honduregno che escluse che le epidemie fossero legate all’acqua. Al di là del rimpallo di responsabilità, le proteste mirano a sancire un principio di diritto: “non si può trattare l’acqua come una merce. L’acqua è un diritto universale, è vita, è una risorsa fondamentale e imprescindibile che non può essere affidata al mercato o a logiche privatistiche”, spiega Lembo. “È un bene insostituibile e deve essere gestito a livello pubblico. In modo partecipato e democratico”.