A un primo sguardo sembra una struttura futuristica, e nell’anima, lo è. Anche se è costruita con semplici canne di bambù o, forse, proprio per questo. Si tratta di una sorta di torre, un’opera di architettura contemporanea che sorgerà in Etiopia, la cui funzione principale sarà quella di raccogliere l’acqua in un modo particolare: estraendola dall’aria.
Si chiama WarkaWater, dal nome africano (warka) di un grande albero, il Ficus vasta, che da sempre rappresenta, per le popolazioni etiopi, un punto di incontro. Il progetto è di Arturo Vittori e Andreas Vogler, dello studio Architecture and Vision, ed è uno dei protagonisti di questa 13esima Mostra Internazionale di Architettura, inaugurata ieri alla Biennale di Venezia.
La parte esterna della torre, alta nove metri e larga otto, è costituita solo da giunco e fil di ferro (per un peso complessivo di 40 chili) e può essere realizzata facilmente da chiunque: servono al massimo sei uomini per metterla in piedi in soli tre giorni. La parte interna, invece, quella che riesce a condensare l’acqua dall’aria, è un tessuto ispirato all’esoscheletro di un insetto, la stenocara. La struttura di questo tessuto è stata studiata (qui l’articolo su Nature) e brevettata alcuni anni fa da Andrew Parker del Natural History Museum di Londra e da Chris Lawrence dell’azienda inglese QinetiQ.
L’Etiopia è stata scelta perché è tra i luoghi della Terra in cui la disponibilità di acqua potabile scarseggia: la sua raccolta impegna le donne e i bambini dei villaggi per la maggior parte di una giornata. Il progetto prevede l’istallazione di numerose WarkaWater già entro il 2013. Per ora sono stati eretti due prototipi grazie al supporto, tra gli altri, dell’Istituto etiope di Architettura, Edilizia e lo Sviluppo (EiABC), dell’Università e dell’Istituto di Cultura italiana di Addis Abeba, dell’Università Iuav di Venezia e dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc-Cnr), che ha curato anche la parte interattiva dell’exhibit alla Biennale.
“WarkaWater è pensata per essere il centro della comunità, un Common Ground, che è il titolo della Biennale di architettura di quest’anno, un luogo di incontro ma anche in grado di sopperire a esigenze importanti per la vita in questi villaggi etiopi, come l’approvvigionamento di acqua potabile e l’illuminazione”, racconta a Galileo Arturo Vittori. I designer, infatti, insieme a Massimiliano Caretti dell’Istc, stanno studiando il modo di incorporare nella torre un sistema fotovoltaico, perché la struttura sia anche una fonte di energia rinnovabile e un punto di ritrovo prima e dopo il tramonto.
Credit per le foto: Gabriele Rigon
Credit per le renderizzazioni: Architecture and Vision